Arriva il pesce made in Italy, ma siamo sicuri che sia italiano?

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A chi non è mai capitato di comprare del pesce, in pescheria o al supermercato, fresco, surgelato o essiccato che sia? Pochi però sanno quello che portano a casa e a ragione. Io stessa, recandomi al banco del pesce e mettendo da parte tutto ciò su cui mi ero già documentata, ho trovato le etichette a dir poco ostiche. Se ad esempio un consumatore volesse sapere l’origine del pesce che sta acquistando, ovvero dove è stato fisicamente pescato, sarebbe costretto ad affidarsi all’indicazione della «zona di provenienza». Vale a dire ad una sigla che compare sulla confezione. Quella del Mediterraneo è denominata Fao37: non solo è un acronimo oscuro ai più, ma non è neanche garanzia che il prodotto sia del Belpaese. Infatti la Fao37 comprende zone di pesca greche, turche e di tutti quei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. E che ci vendono il loro pescato, italiano quanto lo è una maglietta D&G comprata al mercato, a prezzi inferiori, e quindi più convenienti. Il pesce che si sta comprando potrebbe essere quindi facilmente scambiato per italiano, ma in realtà provenire da imbarcazioni straniere ed essere stato pescato chissà dove.
Il 1° agosto è stato firmato dal ministro delle politiche agricole Nunzia De Girolamo un decreto legge proprio per tentare di porre rimedio a questa confusione. Tuttavia, nonostante gli apprezzamenti ricevuti, il provvedimento non fa che stabilire la modalità di applicazione di una norma già presente nella legislazione italiana. Si tratta dell’articolo 59 del Decreto 22 giugno 2012, che obbliga i produttori a dichiarare la zona di provenienza del pesce e le tappe della produzione. Con la nuova disposizione ci sarà la possibilità (badate bene la possibilità, non l’obbligo) di apporre sui prodotti l’etichetta made in Italy. «La possibilità di inserire la dicitura “prodotto italiano” sul pesce venduto al dettaglio è un ulteriore passo avanti verso la valorizzazione del pescato del nostro paese – afferma De Girolamo – e il provvedimento che abbiamo adottato contribuirà sicuramente alla qualità e alla trasparenza della filiera. La strada che stiamo seguendo è quella diretta al rilancio del settore ittico nazionale e alla salvaguardia dei consumatori, che hanno il diritto di avere le necessarie garanzie sulla reale origine del pesce da essi acquistato».
Ma i consumatori cosa ci guadagnano veramente? Dato che la barca è un’estensione naturale della nazione, anche i pescherecci attivi all’estero potranno beneficiare dell’etichetta made in Italy. E il prodotto italiano, a questo punto, sarebbe solo una scritta. La Coldiretti, infatti, è dubbiosa. «La dicitura prodotto italiano è positiva – afferma Tonino Giardini, responsabile nazionale settore di pesca Coldiretti – ma ora occorre compiere il passo successivo, rendendo obbligatoria l’etichettatura d’origine, per garantire piena trasparenza rispetto al rischio di ritrovarsi nel piatto un prodotto straniero congelato, tanto più elevato dopo l’avvio del fermo biologico». Fermo che è iniziato il 5 agosto e che durerà 42 giorni, interessando il tratto adriatico Pesaro-Bari, dopo che il 22 luglio è partito quello che impediva la pesca nel tratto Trieste-Rimini.

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