Barilla e Cremonini pronti al divorzio da Federalimentare

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Barilla e Cremonini sono pronti al divorzio da Federalimentare, la Confindustria del cibo. Dopo Fiat, Fincantieri e Honda, l’associazione degli industriali rischia di perdere due pezzi importantissimi, due esponenti di rilievo del made in Italy a tavola. Per sgombrare il campo da equivoci chiarisco subito un aspetto: conferme ufficiali, per ora, non ce ne sono. Ho raccolto alcune indiscrezioni, di fonte diversa, che sono però concordi nel prefigurare uno scenario clamoroso. I re della pasta e della carne italiana non si sentirebbero più rappresentati dalla confederazione di Viale dell’Astronomia. Così starebbero preparando la exit strategy.

Da quel che mi risulta, oltretutto, si tratterebbe di un’iniziativa coordinata fra i due gruppi i cui rappresentanti, ai massimi livelli, hanno partecipato nelle scorse settimane ad alcuni incontri nella Capitale. Si sarebbero visti innanzitutto con le delegazioni delle associazioni dei produttori agricoli più rappresentative. Ma non escludo che ci possano essere stati abboccamenti anche con il mondo della politica.

Come sempre, in questi casi, non è detto che il finale di partita sia quello più scontato. L’iniziativa, di portata tale da gettare un’ombra sulla politica di Federalimentare, potrebbe anche rientrare. I due gruppi, che hanno sede nel cuore della food valley italiana, Barilla a Parma e Cremonini a Castelvetro di Modena, secondo i rumors che rimbalzano da tempo negli ambienti dell’alimentare, non si sentirebbero più rappresentati dalla confederazione guidata da Filippo Ferrua. La rottura sarebbe arrivata sulla strategia scelta da Federalimentare riguardo al difficile negoziato Fra Unione europea e Stati Uniti per il TTIP, il Trattato transatlantico di libero scambio. L’associazione degli industriali è molto fredda nella difesa del vero made in Italy ed è pronta a piegarsi ai dictat degli Usa che non intendono rinunciare ad esempio ai 200 miliardi di chili di falsi formaggi italiani prodotti in Wisconsin, California e nello stato di New York. Quel che abitualmente si definisce italian sounding e che nel mondo vale almeno 60 miliardi di euro.

Il disgelo fra la dinastia della pasta e le organizzazioni dei produttori, storiche avversarie di Federalimentare, è iniziato da tempo. Paolo Barilla ha partecipato alle convention Coldiretti della scorsa primavera, a Milano e Napoli, portando oltretutto un caso di scuola capace di infiammare la platea degli agricoltori presenti: la pasta Voiello 100% italiana, fatta a partire dal grano Aureo, coltivato in Sicilia. Musica per la confederazione guidata da Roberto Moncalvo. Che per suggellare la pax alimentare ha aderito a metà luglio al protocollo della Fondazione Barilla per la dieta mediterranea. Un programma politico sulla sostenibilità che il gruppo di Parma vuole mettere al centro dell’Expo 2015, chiedendo ai Paesi partecipanti di aderirvi.

E pure Cremonini ha puntato con decisione sui prodotti 100% italiani. Con la linea Carne Montana che significa scatolette, ma anche hamburger e altre preparazioni, sulla quale ha lanciato una campagna pubblicitaria in tv in cui il redivivo Gringo dei Caroselli anni Sessanta, magnifica la carne italiana.

Due iniziative che collidono con la politica adottata dalla Confindustria del cibo secondo cui «il made in Italy è una categoria mentale»: così parlò Filippo Ferrua alla presentazione di Cibus 2013 (ecco il post dove lo racconto). E proprio da qui potrebbe essere partita la scintilla capace di condurre al clamoroso divorzio.

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