Bello il made in Italy di Google, ma assomiglia troppo a una riserva indiana

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Cento eccellenze del made in Italy in in solo clic. Affascinante l’idea del Google Cultural Institute di rappresentare con 100 clic del mouse le eccellenze italiane. Dai mobili ai prosciutti, dai formaggi alle mele. Tutto rigorosamente Dop (o quasi, come nel caso della mortadella di Bologna) ma un po’ troppo plastificato. Già perché fra i puntini, cento in tutto, che segnano la mappa dello Stivale indicando un prodotto dell’arte a tavola o in laboratorio, ci sono centinaia di migliaia di prodotti – quelli sì – italiani al 100 per cento. Ottenuti cioè con materie prime nazionali, lavorate nel nostro Paese su ricetta tradizionale. E quelli?
Ma dimenticandoci pure dei criteri con cui Big G ha scelto di includere il cappello di Montappone ed escludere il salame di Varzi (parlo per puro campanilismo perché è uno dei prodotti di eccellenza delle mia Valle Staffora), il risultato finale è un made in Italy cartonato, da vetrina, di quelli che si ammanniscono agli stranieri ansiosi di portarsi a casa un pezzo di Belpaese.
Sicuramente a loro insaputa, affascinati dal magico numero 100 (una tentazione in cui i giornalisti come il sottoscritto cadono spesso), gli esperti del Google Institute ci restituiscono dell’universo tricolore una visione che coincide con quella della grande industria. Le eccellenze in vetrina, sotto i riflettori e sul piedistallo. Mentre dietro di loro si nasconde quell’83% di prodotti «italiani ma non troppo» che popolano gli scaffali dei supermercati. Pasta fatta con farine canadesi o ucraine, prosciutti ottenuti da cosce di maiali tedeschi e olandesi, extravergine «comunitario» comprato magari in Australia.
Ma di tutto questo non si ha notizia. Il dito punta sulle grandi eccellenze del made in Italy, ora addirittura a portata di clic. Però, che buono il Parmigiano… E dello Speck, cosa dite? Per non parlare poi della coppa piacentina… L’idea del Google Cultural Institute è senza dubbio meritoria, ma rischia di avallare la visione che tende a relegare il vero made in Italy in una riserva indiana. Così del rimanente si riesce a non parlare. E i finti prodotti italiani possono campare di rendita, confusi in un mare di coccarde, nastri e bandierine tricolori. Come quelle che compaiono sulle loro confezioni.
Augh!

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