Biologico e vero Made in Italy in ripresa. Per il resto è nebbia

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I consumi non riprendono, anzi continuano a calare. Contrariamente alle previsioni ottimistiche di inizio anno l’inversione di tendenza su cui governo e imprese contavano per superare di slancio la coda della crisi non c’è stata. La settimana scorsa, il 5 maggio, per la precisione, è arrivato il dato Confcommercio: l’indicatore congiunturale elaborato dall’associazione guidata da Carletto Sangalli, fa registrare un -2,5% a marzo e un -1,9% nel primo trimestre. Ma al netto del dato sulle vendite di auto che sono in caduta libera, secondo i commercianti, la domanda interna sarebbe addirittura in ripresa dello 0,5%. Dato questo rimbalzato anche domenica scorsa, 8 maggio, all’apertura di Tuttofood, il salone dell’alimentare in corso a Milano. Poi (lunedì 9 maggio) sono arrivati i dati Ismea: consumi alimentari in frenata del 3,6% nel primo trimestre in risposta ad un aumento dei prezzi del 3,1.
Insomma il mercato domestico non vuol saperne di accendere il turbo e procede come se fosse al traino di una motrice un po’ spompata. Ma a leggere bene dentro ai dati dell’Ismea, l’istituto che documenta i trend del comparto agroalimentare, il calo c’è ma riguarda soprattutto gli alimenti di largo consumo e in particolare quelli standardizzati e meno riconducibili alla tipicità. Insomma il Made in Italy che piace alla grande industria. Al contrario sono in forte espansione gli acquisti di biologico (+13%) e quelli effettuati direttamente dal produttore. Ad andare in profondità, analizzando i dati dell’Ismea, è stata la Coldiretti che non si è fermata alle cifre generali.
Il calo per gli acquisti destinati a finire in tavola c’è stato ed è anche evidente (- 4% in quantità) con punte del -9% per la frutta e del -7% per il pane. Senza dimenticare latte e formaggi (-6%) e carne bovina (-5%). Ma a fronte di questi numeri negativi, ci sono voci che hanno un più davanti e registrano variazioni a due cifre. I prodotti “bio” confezionati, le cui vendite sono salite del 13% e gli acquisti all’origine, direttamente dal produttore: +28%.
Insomma se si tratta di portare in tavola cibi la cui origine è certa e riconoscibile gli italiani sono pronti a mettere mano al portafoglio e pagare. Comportandosi come se la crisi fosse passata. Al contrario quando si trovano davanti ai cibi omologati tornano a stringere i cordoni della borsa.

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