Bizzotto: «È il killeraggio della Germania che blocca le leggi sul vero made in Italy»

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Sul «parere circostanziato» emesso il 24 ottobre 2005 dalla Commissione europea e col quale Bruxelles ha affossato la legge sul «100% Italia» e quella sulle filiere trasparenti ho intervistato Mara Bizzotto, europarlamentare della Lega Nord a Strasburgo, attivissima sulla difesa dei veri prodotti italiani. Quando a Bruxelles si discute di tracciabilità, diritti dei consumatori, trasparenza a tavola potete stare sicuri che lei è in campo a dare battaglia. Non a caso ne parlo spesso sul blog.

Dopo sette anni, finalmente è emerso il documento che ci ha condannati. Cosa pensa al riguardo?

«Questo parere circostanziato è la lampante dimostrazione di quanto sia complessa, contorta e distorta la burocrazia europea: abbiamo dovuto aspettare che sparisse qualunque traccia o riferimento a questa legge sul «100% Italia» prima di poter realmente conoscere i motivi di quest’assurda bocciatura, basata esclusivamente su delle vecchie sentenze della Corte di Giustizia Europea».
Ma non le sembra paradossale e anche un po’ antidemocratico che l’Eurogoverno possa cancellare due leggi italiane tenendo top secret il dispositivo con cui le ha bocciate? 
«Sicuramente sì. L’Europa si dà tanto da fare nello sbandierare ai quattro venti la trasparenza e la partecipazione democratica al processo decisionale ma quando si tratta di accedere a documenti scomodi si nasconde dietro la solita ingarbugliata e pedante burocrazia. Del resto, anche questo fatto clamoroso dimostra in maniera chiarissima come questa Europa, sempre più in mano a burocrati e lobby internazionali, sia diventata una sorta di mostro che tutto può nei confronti degli Stati membri e dei suoi cittadini. Senza mai dare alcuna spiegazione…».
La motivazione con cui Bruxelles ci ha detto no è imbarazzante: siccome l’etichetta trasparente potrebbe avvantaggiare i prodotti che la adottano a svantaggio degli alimenti del tutto opachi, in nome della libera circolazione delle merci diciamo no alla tracciabilità… Ma che senso ha punire chi lavora bene per non svantaggiare l’industria dell’anonimato?
«La verità è che la Ue è tenuta in scacco dalle grandi lobby economiche e industriali del Nord Europa e invece di tutelare i cittadini e i produttori onesti che puntano sulla qualità e sulla trasparenza, preferisce compiacere e aiutare le grandi industrie dell’anonimato e le multinazionali della grande distribuzione. Il risultato drammatico è che non sappiamo nemmeno quello che finisce sulle nostre tavole e gli scandali alimentari che si susseguono ormai a cadenza quotidiana, sono lì a dimostrarlo. E su questo la Ue ha delle responsabilità evidenti e macroscopiche».
A spingere per mantenere lo status quo – basato sull’opacità delle filiere e dell’origine – è il solito blocco dei Paesi nordeuropei, Germania, Olanda e Svezia. Possibile che non si possa far saltare questo sistema di potere?
«Il tentativo è stato fatto: mi riferisco al Regolamento sul Made In, approvato dal Parlamento europeo nel 2010 e unilateralmente ritirato dalla Commissione Ue due anni dopo, proprio per mancanza di un accordo fra gli stati membri. In quella sede si è sentita la mancanza di un governo italiano forte, in grado di giocare alla pari con questi Paesi del Nord e di puntare i piedi contro la Germania. E purtroppo da questo punto di vista, ci sarà poco da stare sereni anche in futuro, visto che al momento non siamo nemmeno in grado di farlo un Governo…».
E come si è mosso il governo dei Professori su questo terreno?
«Con il solito atteggiamento dimesso e deferente, con Monti e i suoi ministri che hanno calato le brache davanti alla Merkel. Il governo Monti non ha saputo, né voluto, difendere gli interessi delle nostre industrie di fronte agli altri Paesi: a dettar legge, e a vincere, sono stati come spesso succede la Germania e gli altri Paesi del Nord Europa, che non hanno alcun interesse ad approvare un provvedimento che tuteli quella produzione di qualità che è il vero valore aggiunto delle imprese italiane nel mercato globale. Questi Paesi stanno operando da tempo una sorta di killeraggio sistematico verso tutti quei provvedimenti che mirano a proteggere il vero made in Italy, sia esso legato alla produzione industriale, artigianale o agroalimentare. E il Governo Monti non ha saputo far altro che chinare continuamente la testa davanti alla cancelliera Merkel, vero dominus di questa Europa sempre più allo sbando».

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7 COMMENTS

  1. Concordo con la critica al fatto che i documenti emessi dagli enti europei ed italiani debbano essere pubblici e non riservati.
    Però il parere europeo è corretto in quanto l’istituzione di un marchio “100% Italia” (garantito dallo Stato Italiano), ancorchè di apposizione volontaria, è lesivo della libera concorrenza all’interno dello Spazio Comune Europeo che ha accordi di libero scambio anche con i Paesi EFTA e con la Turchia.
    Negli Stati Uniti d’America, per esempio, hanno deciso che il marchio “Made in USA” necessiti che almeno l’80% del VALORE di un prodotto debba essere originato negli USA. Temo che molte birre italiane, utilizzando orzo e luppolo straniero, non potrebbero fregiarsi neanche di un ipotetico marchio “Made in EU”. Anche molte calzature italiane utilizzano cuoio con provenienza extra UE e non sarebbero marchiabili.
    Che poi un Dispositivo di Sicurezza Individuale prodotto in Norvegia debba richiedere una certificazione da parte di un ente italiano e debba apporre la sigla di questo certificatore in etichetta per poter vendere in Italia, è francamente folle.
    Concludo facendo notare che esiste un marchio “Made in USA” ma forse non esistono “Made in Wisconsin” o “Made in California”.
    Se i produttori italiani dovessero marchiare e certificare i loro prodotti con una certificazione islandese per vendere lassù, avrebbero grossi problemi.
    Un marchio “Made in EU” non è stato mai creato (Esiste solo il marchio CE di sicurezza) perchè altrimenti i Paesi EFTA e la Turchia non avrebbero potuto utilizzarlo e non avrebbero aderito ad accordi di libero scambio.
    Forse i produttori italiani dovrebbero concentrarsi maggiormente ad esportare nei nuovi mercati, non a difendere posizioni di forza nel mercato nazionale.

  2. Caro Roberto, ero al corrente dell’argomentazione in base alla quale il marchio 100% Italia sarebbe lesivo della libera concorrenza. Il tutto nasce da vecchie sentenze della Corte europea, accolte dal Codice doganale comunitario (versione emendata nel 1992).
    E’ il principio ad essere sbagliato. Soprattutto nelle produzioni alimentari. Le faccio un esempio: le lasagne alla bolognese etichettate 100% Italia, non lederebbero l’interesse di alcuno. Né ostacolerebbero la libera circolazione delle merci all’interno del mercato unico. Semmai ne avrebbero uno svantaggio i tanti taroccatori che le producono interpretando “molto liberamente” la ricetta originale. Magari utilizzando carne di cavallo. Ricorda il caso Findus?
    Infine non si tratta di difendere posizioni di forza (che fra l’altro non c’è più) sul mercato nazionale. Ma di reclamare i diritto (sacrosanto) di poter etichettare come italiano un prodotto che lo è davvero, distinguendolo delle innumerevoli imitazioni. La forza del VERO made in Italy è dirompente. Se ci fosse consentito di rendere trasparenti le etichette non ci sarebbe concorrenza in grado di resistere ai nostri prodotti. E’ questo il motivo per cui la Germania e i Paesi del Nord Europa ci fanno la guerra sulla tracciabilità
    Bearsi per i divieti imposti dalla Ue (su ordine di Berlino) è una posizione suicida e autolesionista.

  3. La promozione dei prodotti locali si fa con le autocertificazioni dei consorzi di produzione agroalimentare (DOCG, IGT, DOP, etc.) esattamente come fanno i produttori francesi, dove ogni formaggio o vino riporta le informazioni: “Produit de France” ed il nome della AOC (Appellation d’origine contrôlée) senza bisogno di alcun marchio “100% France”.
    Inoltre ribadisco che la pasta Barilla è prodotta con grano statunitense, acqua italiana e gas algerino, il caffè Lavazza con caffè extra UE e metano russo. Il VALORE di tali prodotti non è per l’80% Made in Italy eppure così sono marchiati.
    L’olio extravergine di oliva pugliese è spesso costituito per la maggior parte da olio greco o spagnolo e le bottiglie sono a volte importate dalla Francia.
    Concludo aggiungendo che mia madre è tedesca e mio padre è italiano, pertanto sono geneticamente non obiettivo. A peggiorare la situazione, abito in un condominio che si chiama “Condominio Europa”…

    🙂

    • Caro Paolo, ti confesso che mi sei simpatico. E per due motivi: sei sincero nell’ammettere la tua parzialità e hai un buon spirito polemico. Due qualità che apprezzo. Ciò detto per come la vedo io, in effetti non ha senso etichettare il caffè come italiano. È ridicolo. E non andrebbe fatto.
      Per gli spaghetti e i maccheroni hai ragione: i nostri pastai utilizzano a piene mani grano duro canadese e americano. Ma proprio Barilla, da quel che mi risulta, sta lavorando con i produttori italiani per ridurre la quota di cereale importato. E forse andare sul mercato con una linea di pasta italiana al 100%.
      Sull’olio pugliese so che sono in corso alcune inchieste prossime a concludersi. Chi venisse pescato a etichettare olio greco o spagnolo come pugliese rischia le manette. Per fortuna l’extravergine prevede un minimo di tracciabilità.

  4. Ingredienti di una lasagna alla bolognese precotta, refrigerata o surgelata:
    Farina di frumento dalla Francia
    Burro dall’Irlanda
    Latte dalla Germania
    Pomodoro dalla Cina
    Olio di palma dalla Malesia
    Carne di bovino dall’Italia (ingrassata con soia dal Brasile)
    Olio di semi di girasole dall’Australia
    Aglio dalla Spagna
    Noce moscata dal Madagascar

    Made in Italy …

    Approfondimenti qui:
    http://www.ilfattoalimentare.it/carne-cavallo-coldiretti-etichetta-origine-truffa-commerciale-tonio-borg.html

    • Ecco, queste lasagne, se ci fosse l’etichetta 100% Italia, non potrebbero essere etichettate come italiane. Se poi qualche produttore lo dovesse fare – frodando i consumatori – sarebbe bellissimo se dovessero scattare le manette.
      A proposito: l’approfondimento del Fatto Alimentare di cui alleghi il link l’avevo letto. Mi piacerebbe però sapere se l’origine delle materie prime elencata si riferisce a un caso reale. Ove la risposta fosse «sì» mi piacerebbe conoscere il produttore: metterei l’etichetta nella sezione «Trash brand», le marche trash, che sto istituendo su Etichettopoli.
      So bene che la tracciabilità non garantisce automaticamente cibi di qualità superiore. Tuttavia mette il consumatore nella condizione di scegliere consapevolmente. In base a un criterio elementare: più si allunga la filiera e più sono possibili gli imbrogli. Senza contare la sostenibilità sociale delle filiere produttive. Se tutti i produttori di alimenti acquistassero le materie prime all’estero, i nostri agricoltori morirebbero di fame. E le nostre campagne si spopolerebbero nel volgere di un lustro. Una prospettiva che, evidentemente, non riveste alcun interesse per i globalizzatori. Ma che io personalmente trovo agghiacciante.

    • Ciao Roberto,
      ti segnalo l’esistenza, in Linkedin, di un gruppo di discussione (che Attilio già conosce e frequenta con efficacia) dedicato ad Etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari.
      Sarei lieto se anche tu decidessi di farne parte.
      Saluti.

      Alfredo Clerici

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