Carne di cavallo, ecco le etichette ritirate dal mercato

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Povere lasagne alla bolognese. Ora (quelle surgelate) chi le mangerà più? Dopo l’ondata di ritiri dagli scaffali dei supermercati che ha coinvolto 200 etichette fra lasagne, cannelloni, spaghetti ravioli, tortellini e perfino ragù di carne (parlo del Ragù Star che non compare in questo collage perché ho già pubblicato la foto in un altro post), la diffidenza fa fa da padrona fra i consumatori di tutta Europa. Secondo un sondaggio della Coldiretti lo scandalo della carne di cavallo  ha prodotto un primo effetto palpabile: le vendite di piatti pronti sono calate del 30% solo in Italia. Forse sarà per questo che la Findus (erano della multinazionale svedese le «Beef Lasagne» da cui tutto è partito) ha programmato sulle maggiori emittenti televisive una campagna a tappeto per promuovere i propri surgelati.
In realtà del crollo di vendite (e di fatturato) che si troveranno a contabilizzare le food company coinvolte  – scusate il cinismo – mi importa poco. A furia di pasticciare con le materie prime e allungare fino a 10mila chilometri la catena delle fornitura si arriva a questo punto.  Il danno che mi preoccupa è quello sul made in Italy. Già, perché la maggior parte delle confezioni contenenti carne di cavallo, ritirate dal commercio, richiamavano ricette o specialità italiane. Anche se si tratta di preparazioni che nel Belpaese avrebbero poca fortuna, tanto sono lontane dalle nostre vere tradizioni alimentari.
Resta il fatto che le lasagne al ragù di carne rischiano di passare alla storia con una nomea simile a quella del vino al metanolo che nel 1986 causò addirittura 23 morti. In questo caso le conseguenze sulla salute per l’assunzione di carne di cavallo sono, agli atti, trascurabili. Anche se c’è il sospetto che i quadrupedi macellati in Romania non fossero soltanto capi da carne. I cavalli da corsa sono stati esclusi da anni dal ciclo alimentare umano perché assumono in forti quantità un antinfiammatorio, il fenilbutazone, pericolosissimo per l’uomo.
Rimane un dubbio atroce: cosa c’è in quel che portiamo a tavola? La risposta a questa domanda è decisiva per continuare a comprare con serenità quel che industria e distribuzione ci propongono. Né possono più valere le rassicurazioni delle industrie di marca: garantiamo noi, con i nostri brand. Ammesso che lo abbiano mai fatto, le grandi marche non danno più sicurezza. E dire che questa è stata proprio una delle argomentazioni con cui le organizzazioni che rappresentano gli interessi dell’industria hanno sempre negato la necessità dell’etichetta d’origine.
A squarciale il velo sull’inaffidabilità delle food company  che controllano il mercato sono stati addirittura i cinesi.(si veda il post Dopo le lasagne di cavallo la torta ai colibatteri: ora è la Cina a fermare le porcherie Made in Ue).Possibile che a nessuno venga in mente di mettere in dubbio l’opportunità di mantenere in vita una delle colonne su cui poggia tutta l’industria dell’anonimato? Vale a dire l’etichetta reticente.

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