Col nuovo regolamento Ue dall’etichetta sparisce lo stabilimento di produzione

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Dall’Europa l’ennesima presa in giro: mi sono letto e riletto il testo del nuovo regolamento sull’etichettatura pubblicato il 22 novembre 2011 sulla Gazzetta Ufficiale della Ue (scaricabile a questo link) e mi sono accorto di una «dimenticanza» macroscopica. Oltre a escludere per ora la dichiarazione d’origine per quasi tutti gli alimenti tranne che per le carni fresche (ma da noi era già obbligatoria sia per quelle bovine sia per i polli) non si parla neppure dello stabilimento di produzione. Dunque, oltre a poter omettere l’indicazione del Paese d’origine per quasi tutti i prodotti, ora le industrie potranno non indicare pure l’impianto dove il prodotto è stato confezionato. Nessun riferimento, neanche un accenno, all’indicazione del lotto di produzione, utilissimo nel caso le autorità debbano procedere al sequestro di una o più partite immesse in commercio.
Da quel che ho capito, comunque, le industrie alimentari italiane continueranno a indicare sulle confezioni sia l’impianto di produzione impiegato sia il lotto, come prevede l’articolo 11 del Decreto Legislativo 109 del 1992. Ma se volessero potrebbero non farlo. Immagino che ora le grandi multinazionali straniere avranno un elemento aggiuntivo per rendere ancora più opache le loro etichette.
Per l’ennesima volta Consiglio e Commissione Ue hanno ignorato la posizione espressa dal Parlamento Europeo con diverse votazioni e a larghissima maggioranza: l’assemblea di Strasburgo ha chiesto più volte la massima trasparenza possibile sull’origine degli alimenti. I poteri forti della Ue hanno deciso invece di fornire un nuovo e potente scudo legale a quanti non vogliono farci sapere cosa mettiamo in tavola. Chi prende per oro colato tutto ciò che arriva da Bruxelles è avvertito: non solo le istituzioni europee non sono infallibili, ma spesso barano al gioco.
E allora teniamoci i sughi fatti con i pomodori cinesi e i prosciutti tedeschi camuffati da italiani.

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