Con la Nato economica l’Europa avrà 600mila disoccupati in più

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Il Trattato transatlantico rischia di provocare uno squilibrio a favore degli Usa. È per questo che la Germania continua a dire «no»

Sulla Nato economica si è scritto parecchio. Non in Italia, dove il Ttip, acronimo impronunciabile che sta per Transatlantic trade and investment partnership – Trattato transatlantico su commercio e investimenti – è balzato all’onore delle cronache quest’autunno per restarvi non più di due settimane. Giusto il tempo per capire che i negoziatori Usa e Ue stavano trattando in segreto e che, sotto la pressione di media e gruppi di cittadini, il testo di partenza è stato desecretato. Ecco la mia ricostruzione.

Poi il silenzio. Novità sostanziali, in realtà, non ce ne sono. Tranne il tentativo di lobby più o meno potenti di accreditare la convinzione che con la Nato economica la nostra econimia potrebbe ripartire, beneficiando di un presunto boom degli scambi commerciali e delle esportazioni.

Di simulazioni su cosa potrebbe accadere con il Ttip ne girano parecchie, Mi sono imbattuto in un’accurata ricostruzione di fonte americana, curata da Jeronim Capaldo, della Tuft University di Medford, Massachusetts.  Il documento (scaricabile qui), pubblicato lo scorso mese di ottobre, è molto approfondito e spiega innanzitutto la contrarietà della Merkel. In sostanza, per l’Europa, la Nato economioca significherebbe una riduzione del Pil, delle esportazioni e delle entrate fiscali. Ma soprattutto un aumento dei disoccupati. «Il Ttip», scrive Capaldo, «causerebbe una perdita di reddito da lavoro variabile da 3.400 euro procapite annuali in Germania a 5.500 in Francia».Ma quel che è peggio, continua, «si registrerebbe una riduzione netta dell’occupazione. Secondo i miei calcoli, l’Unione europea perderebbe circa 600.000 posti di lavoro. I paesi nordeuropei sarebbero i più colpiti con una perdita di 223.000 posti di lavoro, seguiti da Germania (-134.000), Francia (-130.000) ed Europa meridionale (-90.000)».

Semmai il ricercatore della Tuft University sottovaluta l’impatto che il Trattato transatlantico avrebbe sull’Italia per la quale prevede appena 3mila nuovi disoccupati. Dimenticando, evidentemente, che la concorrenza sleale delle imitazioni made in Usa di formaggi e prosciutti Dop e Igp della nostra tradizione alimentare rischia di mettere in crisi intere filiere, come quelle del latte e della carne. Con effetti ben più dannosi rispetto a quelli immaginati.

Il no della Germania che per ora ha di fatto congelato trattative, dovrebbe indurci per lo meno a sospettare che ci sia la fregatura. E anche grossa. Cosa si in gioco lo ha chiarito il ministro dell’Agricoltura tedesco Christian Schmidt: «Se vogliamo utilizzare la possibilità del libero scambio con l’immenso mercato statunitense non possiamo più tutelare ogni wurstel e ogni tipo di formaggio». Dobbiamo cioè accettare i tarocchi in arrivo dagli States.

Se una cosa dovremmo aver capito dalla crisi è che la Merkel e in genere i tedeschi non sono disposti a rinunciare a nulla in termini di ricchezza individuale e collettiva. Se Berlino dice «no» alla Nato economica, un motivo ci dovrà pur essere. E probabilmente si può riassumere nella tabella compilata da Jeronim Capaldo che pubblico in questo post.

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