Dop (rigorosamente) senza tricolore e olio d’oliva #italianomanontroppo. Ecco l’extravergine all’Esselunga/2

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Extravergini Dop che non sono identificabili come italiani, finti oli made in Italy, prodotti #italianimanontroppo mischiati a extravergini col tricolore. In una giungla di prezzi e di etichette in cui il consumatore difficilmente riesce a orientarsi. Ecco i risultati della seconda puntata dell’inchiesta sull’oro verde. La prima uscita era stata all’Iper di Montebello: questa volta ho censito gli oli d’oliva in vendita nel negozio Esselunga di Voghera, una delle mete preferite della locale (e famosissima) casalinga nazionale. Il risultato, come si vede chiaramente dalla tabella che pubblico in questo post, è tale da mettere a dura prova anche un patito delle etichette come il sottoscritto.
Il prezzo, come sempre, non è un indicatore utile per distinguere il vero olio made in Italy da quello #italianomanontroppo. Accade ad esempio di trovare dei prodotti di origine nazionale ben al di sotto del prezzo mediano che in questo caso è quello dell’Esselunga Bio, pari a 9,32 euro al litro.
In più ci si mettono gli extravergine Dop a complicare le cose: tranne una marca, per la precisione la Dop Dauno Gargano della Olearia Clemente, le altre non utilizzano sulla confezione loghi o simboli che consentano ai consumatori di riconoscerle immediatamente come italiane al 100%. Non vale l’obiezione: sulla bottiglia c’è il logo del consorzio Dop. Purtroppo, come ho dimostrato con l‘indagine sulle casalinghe di Voghera, appena il 4% di chi frequenta i supermercati sa davvero cosa significhi Denominazione di origine protetta, cosa sia un disciplinare e come funzioni.
Appena 23 extravergine su 65, dunque il 35%, sono riconoscibili come italiani.  Una percentuale non certo bassa e sicuramente superiore a quella riscontrabile nei punti vendita italiani fino a tre anni or sono, quando ho iniziato a pubblicare Etichettopoli.com. Ma questo 35% si perde nel mare di sigle e brand all’apparenza italianissimi ma che in realtà tali non sono e rappresentano i tre quarti delle vendite in volume. Parlo del 26% delle referenze a base di olio sicuramente non italiano che si confonde con quello davvero made in Italy e con le Dop che paiono vergognarsi della loro origine.
È l’effetto arlecchino a disorientare i consumatori che inevitabilmente cadono nella trappola dei brand #italianimanontroppo.
E visto che il punto di partenza di questi approfondimenti è stato lo scandalo suscitato dalle vignette del New York Times che accusavano l’Italia di falsificare l’extravergine, la conclusione è sconsolante. In uno dei settori più regolati dell’agroalimentare, perfino in Italia i consumatori sono nella quasi impossibilità di capire se quel che stanno mettendo nel carrello è vero olio d’oliva italiano oppure no. Figuriamoci gli americani. Dunque è inutile indignarsi se qualcuno, all’estero, scopre il trucco e ci accusa di essere i primi taroccatori del made in Italy. Perché, purtroppo, è così.
Una precisazione è d’obbligo: l’Esselunga, come molte altre catene della grande distribuzione, non ha alcuna colpa. Anzi: a sollecitare i produttori a dichiarare la (vera) origine italiana di quel che offrono, è proprio la Gdo.

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