Dopo i jeans ora tocca ai vulcani d’Islanda diventare cinesi

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Dopo i blue jeans ora tocca ai vulcani islandesi diventare cinesi.  Il magnate Huang Nubo, centosessantunesimo nella classifica dei paperoni cinesi, ha comperato una fetta di Islanda per realizzarvi un gigantesco resort con annesso campo da golf per eco-turisti ricchi. Costo dell’operazione 100 milioni di dollari inclusi i denari occorsi per acquistare ben 300 chilometri quadrati di terreno. Un’estensione pari a un terzo del territorio di Hong Kong, all’interno del quale c’è pure uno degli immancabili geyser con tanto di getti di vapore bollente. 
L’operazione è l’ennesima di una lunga serie che ha portato sotto il controllo di cittadini e società dell’ex Celeste Impero oltre tre milioni di ettari di terreno, una superficie pari al Lazio e all’Abruzzo messi assieme. A fare il calcolo è la Coldiretti che lancia un nuovo allarme per il “land grabbing”, l’accaparremento di terreni da parte della Cina. Finora la campagna acquisti si è concentrata «soprattutto in Africa e Sud America per scopi agricoli», commenta Coldiretti, «ma l’interesse alla conquista di nuove terre si estende anche alle risorse minerarie ed energetiche che vengono sottratte alle comunità locali».
Il gigante asiatico è stato negli ultimi anni  il principale protagonista dell’acquisto di terreni coltivabili nel mondo a partire dal 1995, nello Zambia, per poi conquistare  3 milioni di ettari di terreni per la sola coltivazione del riso un po’ in tutta l’Africa oltre che in Messico, Cuba, Laos, Russia.
Prima dell’Islanda l’attenzione della Cina si era concentrata dall’America latina all’Africa, dove il terreno costa meno e sono stati firmati accordi in materia di cooperazione agricola che hanno portato all’insediamento di 14 aziende di Stato in Zambia, Zimbawe, Uganda e Tanzania. Si prevede che presto un milione di nuovi agricoltori cinesi potrebbe essere presente soltanto in Africa.  «Una nuova forma di colonialismo favorita»,  conclude la Coldiretti, «da una globalizzazione senza regole che tratta le risorse primarie come beni qualunque e favorisce le speculazioni». 
Non mi meraviglierei se la campagna acquisti arrivasse anche da noi, nel cuore dell’Europa. Se vuoi appropriarti delle produzioni caratteristiche e più ambite di un’agricoltura come quella italiana devi farlo dall’interno. Come è accaduto a Prato con il polo tessile. Se Pechino dovesse decidere di partire alla conquista delle nostre Dop sarebbe solo una questione di tempo.

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