Dopo l’olio il latte, attacco al fortino del made in Italy

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Pur di evitare che la Parmalat finisca in mani straniere – quelle della francese Lactalis – governo e banche sono pronti a far ricorso ad ogni mezzo lecito. Mentre l’ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera accoglieva con gioia («è una bella notizia») l’interesse della Ferrero il ministro dell’Economia Giulio Tremonti annunciava: «Faremo shopping giuridico» all’estero. «Sto studiano una legge canadese che fu applicata contro l’Eni». L’obiettivo è quello di sbarrare la strada alle campagne di conquista con cui i Paesi più attivi sul fronte dell’agroalimentare – Francia e Spagna – puntano alle eccellenze italiane.
Una scelta giusta, mi permetto di aggiungere. E non solo per motivi meramente nazionalistici. Agli stranieri interessano i nostri marchi e il relativo capitale di credibilità oltre alle quote di mercato che controllano. Della qualità, la tutela della genuinità, l’origine dei prodotti se ne fanno un baffo. È accaduto così con l’olio extravergine d’oliva. Alcuni dei marchi più prestigiosi della nostra industria oleicola, Bertolli, Carapelli, Sasso, Dante, sono finiti in pancia al Grupo Sos, spagnolo. Fra il 2005 e il 2008 la multinazionale madrilena si è mangiata la fetta più consistente del nostro mercato al consumo di extravergine. Salv poi cedere la Dante alla Mataluni per non incorrere nello stop dell’Antitrus.
In verità la Sasso non era più italiana da tempo. Gli spagnoli l’hanno rilevata dalla Unilever. Ma poco importa. Ora dentro alle bottiglie dei tre storici marchi dell’oro verde made in Italy ci sono «oli extravergini comunitari», come ho documentato con la “prova etichetta“. Nulla di illegale, naturalmente. Lo permette un regolamento comunitario (il numero 182/2009) emanato dalla Commissione europea.
Certo, per il latte fresco c’è il vincolo di dichiarare in etichetta la provenienza della materia prima. Ma sono pronto a scommetterci pure i soldi che non ho che, se servisse, Bruxelles è pronta a confezionare una bella direttiva europea, di quelle vincolanti, per aggirare la tracciabilità. Con l’olio extravergine è accaduto proprio così.
Dispiace dirlo, ma la globalizzazione fa a pugni con qualità e genuinità dei cibi. Quindi anche se non è bello, elegante e tantomeno corretto, facciamo il tifo per il tentativo di Tremonti di sbarrare ai francesi la strada che porta all’ex impero di Calisto Tanzi. Ne va anche del nostro diritto di consumatori di sapere cosa portiamo in tavola o diamo da bere ai nostri figli. Il resto sono baggianate. Come quasi tutto l’armamentario con cui gli epigoni di un liberismo ottuso e spesso non disinteressato pretendono di insegnarci come si sta al mondo.
Un’ultima nota: è possibile che l’Olio Sasso passi ancora di mano. Da quel che mi risulta gli spagnoli del Grupo Sos stanno trattandone la cessione. In pole position la Colussi.

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