Etichette reticenti: l’olio extravergine di oliva

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Che bello, è arrivata l’etichetta obbligatoria! D’ora in poi tutti i produttori di alimenti saranno obbligati a dichiarare sulla confezione il luogo d’origine. Come accade già per la carne, le uova e l’olio extravergine d’oliva. E’ un ritornello che ci siamo sentiti ripetere parecchie volte in questi ultimi giorni, da quando – era il 18 gennaio scorso – la Camera ha dato il via libera definitivo alla legge.
Ma siamo sicuri che sia proprio così? Proviamo con l’olio. A guardare i cartellini delle bottiglie che affollano i supermercati la risposta è una sola: assolutamente no. Come sempre in questi casi ho indossato i panni del “Casalingo di Voghera”, l’archetipo di tutti i consumatori. E sono andato a fare acquisti all’Iper di Montebello della Battaglia, a pochi chilometri dal capoluogo mancato dell’Oltrepò Pavese. Il tempio della spesa di tutte le casalinghe e dei casalinghi di questa zona.
Ho acquistato otto marche di extravergine diverso: Bertolli, Carapelli, De Cecco, Farchioni, La Ruota, Monini, Sagra e Sasso. Ed ecco la sorpresa: sulle etichette compare sempre la dicitura: “ottenuto con oli extra vergini di origine comunitaria“. E’ così tranne che per Farchioni (“miscela di oli di oliva comunitari”) e La Ruota (“origine prodotto: Unione europea”). Per il dettaglio pubblico la tabella completa qui sotto.Da quel che mi risulta, però, in etichetta dovrebbero comparire alcune informazioni obbligatorie:

L’indicazione della zona geografica di coltivazione delle olive, fatta salva la disciplina della designazione d’origine per i prodotti DOP e IGP, deve riportare lo Stato membro o il Paese terzo in cui la coltivazione è stata effettuata. In caso di olive non coltivate in un unico Stato membro o Paese terzo, nell’etichetta deve essere indicato l’elenco di tutti gli Stati o Paesi terzi nei quali le olive sono state coltivate, in ordine decrescente per quantità utilizzate“. 

Così recita il decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 243 del 18 ottobre 2007. Che aggiunge:

“Qualora le olive siano state coltivate in uno Stato o Paese diverso da quello in cui è situato il frantoio, nell’etichetta deve essere riportata la seguente dicitura: «Olio estratto in (indicazione dello Stato o Paese in cui è situato il frantoio) da olive coltivate in (indicazione dello Stato o del Paese di coltivazione delle olive)».

Come la mettiamo, dunque, con le etichette di questi otto extravergini?

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2 COMMENTS

  1. la risposta è semplice: il D.M. cui si fà riferimento era in palese contraddizione con un reg.europeo che imponeva:
    -nel caso di miscele di oli di più paesi della comunità, una dicitura…miscela di oli di origine della Comunità europea O UN RIFERIMENTO ALLA COMUNITA’ EUROPEA.
    Dunque il termine “miscela” tanto caro a chi vuole glorificare qualsiasi olio italiano e assimilare ad un grasso di macchina tutti gli altri, può non essere utilizzato.
    p.s. il DM è stato successivamente dichiarato non ammissibile dalla corte di giustizia europea in quanto in contrasto con la normativa comunitaria

    • Caro lettore, quanto scrive mi è noto. In un post successivo pubblicato il 2 marzo 2011 ho raccontato come e perché l’Italia è stata costretta dall’Unione europea a cambiare la propria legislazione. Il risultato è stato uno solo: grazie all’intervento di Bruxelles gli oli con le etichette reticenti hanno avuto la patente di legittimità.
      Per quel che riguarda gli extravergini «comunitari» mi guardo bene dal definirli «grasso di macchina», come scrive lei. Penso però che il consumatore abbia il diritto di sapere da dove arriva veramente quel che porta in tavola. Senza considerare poi che per ogni litro di finto olio italiano se ne vende uno in meno di vero extravergine made in Italy. Mai sentito parlare di sostenibilità sociale? Se accadesse la stessa cosa con tutti gli altri prodotti alimentari si devasterebbe la nostra agricoltura. Buttando sul lastrico milioni di persone.

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