Farinetti, la mela tricolore e il made in Italy tarocco: il diavolo è nei dettagli

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Oddio, arriva anche la mela tricolore. Che poi dovrebbe essere l’antidoto in tutto il mondo contro i falsi prodotti italiani. La proposta arriva da Oscar Farinetti [foto Facebook], guru indiscusso del «mangi meglio vivi meglio» e inventore della catena Eataly. Qualunque idea arrivi da uno che era in predicato di diventare ministro dell’Agricoltura nel governo Renzi è degna di attenzione. E la mela bianca, rossa e verde è di quelle che fanno riflettere. Parecchio.
Dice Farinetti a Lanotiziagiornale.it: «Cominciamo con il riappropriarci della bandiera tricolore, fondamentale per permettere ai consumatori di tutto il mondo di riconoscere i prodotti made in Italy e non copiati. Bisogna fare al più presto una grande operazione di advertising nel mondo, come quella che fu fatta per la pura lana vergine o per il vero cuoio. Per quanto mi riguarda ho proposto una mela tricolore che permetta di fare delle campagne nel mondo dicendo ai consumatori di ogni parte del globo: cercate la mela tricolore e troverete il vero prodotto italiano e non le imitazioni». Sulla carta il ragionamento di Farinetti non fa una grinza… Sulla carta però. Basta fare un giro fra i banconi dei supermercati, quelli italiani dico, per accorgersi che straboccano di cibi #italianimanontroppo, pieni di coccarde, nastri e bande tricolori. Pasta, olio, conserve, salumi, biscotti e perfino pane: in certi settori merceologici si fa prima a dire chi non sfoggia i colori della nostra bandiera. Ma fra questo esercito di prodotti nazionalisti quelli davvero italiani – fatti nel nostro Paese con ricetta tradizionale e materie prime locali – sono pochissimi. E non è un caso se l’industria alimentare rivendica il diritto di vestire col tricolore i propri prodotti. Se nastrini e coccarde fossero riservati alle referenze italiane al 100%, se ne salverebbero ben poche.
Escludo che l’industria del cibo accetti di veder declassati almeno 8 prodotti su 10 di quelli che ci propina quotidianamente. Dunque c’è il rischio che la mela tricolore di Farinetti finisca per dare la patente di italianità anche ad alimenti che di italiano hanno ben poco, forse neppure l’etichetta. Anche se al capo di Eataly bisogna riconoscere la buona fede assoluta. Come diceva uno dei giganti dell’architettura moderna, il tedesco Ludwig Mies van der Rohe, «il diavolo è nei dettagli». Già, perché se accettiamo il principio che sia l’ultima lavorazione a decidere la nazionalità di un prodotto, finiremo per trovarci in tavola oli extravergine nordafricani, prosciutti tedeschi e sughi di pomodoro cinesi con tanto di mela bianca rossa e verde sulla confezione. Provate a indovinare chi predica (e vuole imporre) il principio della «ultima lavorazione sostanziale»? Nell’ordine: la Commissione europea e la Federalimentare.
Così mi permetto di chiudere il post con una domanda: abbiamo davvero bisogno della mela tricolore?

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