Federalimentare ammette: dopo il Canada pure il Giappone silura i nostri formaggi

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Il numero uno Scordamaglia: «L’accordo che la Ue sta trattando con Tokio consente l’imitazione ingannevole dei formaggi italiani. Meno fretta nella conclusione di nuovi trattati e più attenzione ai dettagli  di quelli  già firmati»

Luigi Scordamaglia

Anche l’industria alimentare ammette che i trattati commerciali sottoscritti da Bruxelles sono una fregatura per l’Italia. Dopo averli difesi a spada tratta la Confindustria del cibo cambia idea. «Nell’accordo Ue-Giappone, l’Unione europea ha agito con assenza di trasparenza», ammette il presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, dopo la nuova fregatura emerso ai danni dei formaggi italiani Dop inseriti nell’accordo. Alcune pesanti eccezioni, fanno sapere gli industriali,   di fatto consentono liberamente la loro imitazione ingannevole. «Saranno tutelati»,  spiega Scordamaglia, «i nomi composti Grana Padano e Pecorino Romano», ma non le denominazioni generice e «chiunque potrà produrre un grana o un pecorino. Peggio ancora il caso del Parmigiano Reggiano per il quale viene liberamente legittimata la registrazione di un prodotto denominato Parmesan».

Alla buonora! Quando a sostenere la stessa tesi erano gli allevatori e la Coldiretti, l’industria reagiva stizzita accusando di protezionismo i critici degli accordi commerciali che la Ue stava trattando. Ora si sta rendendo conto che Bruxelles non fa gli interessi del made in Italy. 

«MANCANO LE TUTELE FONDAMENTALI»

«Per questo», si legge nella nota diffusa da Federalimentare, «nonostante l’industria italiana sia sempre favorevole allo strumento degli accordi di libero scambio internazionali quando questi favoriscono una globalizzazione governata e basata su regole serie e trasparenti, stavolta chiede di non ratificare l’accordo nell’attuale formulazione a partire dal Parlamento europeo vista l’assenza di tutela di questi principi fondamentali, a meno che non si riescano ad apportare delle correzioni capaci di tutelare i nostri formaggi Dop».

Inoltre, continua Scordamaglia, «piuttosto che rincorrere nuovi accordi senza un’adeguata attenzione ai dettagli applicativi, la Commissione si dovrebbe concentrare sulla verifica delle regole di implementazione degli accordi sottoscritti. È quello che sta succedendo nel caso del Ceta (il trattato di libero scambio con Canada, ndA) in cui un elemento positivo era stato l’aumento della quota di formaggi europei e quindi italiani, esportabili verso quel Paese. Peccato che il meccanismo di attribuzione delle quote ideato dai canadesi stia portando oggi a una gestione poco trasparente delle stesse quote che vengono affittate con costi stranamente simili a quelli dei dazi formalmente cancellati». 

Duque, alla fine non c‘è nulla di cui gioire. I canadesi hanno ottenuto il riconoscimento de facto per le loro imitazioni delle nostre indicazioni geografiche, a cominciare dal prosciutto San Daniele tarocco prodotto a Markam, in Ontario. E i nostri formaggi. le eccellenze del made in Italy a tavola, sono penalizzate da costi che equivalgono alle vecchie tariffe doganali.

STOP AI NUOVI TRATTATI CON MERCOSUR E NUOVA ZELANDA

Forse è un po’ tardi per accorgersene, caro Scordamaglia. Forse valeva la pena di dare ascolto ai numerosi allarmi scattati quando ancora eravamo in tempo per fermare la procedura di ratifica.

La lezione, però è servita. «Di fronte a tali situazioni», conclude il numero uno di Federalimentare, «chiediamo all’Europa di bloccare il proliferare di nuovi accordi, Mercosur e Nuova Zelanda in primis. Dedicandosi piuttosto alla condivisione e alla verifica dei dettagli applicativi che sono poi quelli che fanno la differenza».

Se lo lasci dire da uno che i suoi amici industriali hanno sempre visto come un pasdaran del made in Italy: lasciate perdere i vecchi rancori e aprite prima possibile un confronto con il mondo agricolo. Anziché cercare di dividerlo, con accordi di filiera stretti soltanto con alcune sigle, ascoltare gli allevatori e i contadini. Tutti assieme. Divisi potete solo perdere. E incassare le sonore fregature come quella dei trattati con Canada e Giappone. Alla fine, a perderci non è soltanto il settore primario o il secondario. Ma tutta Italia.

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