I 5 Stelle scoprono l’extravergine tarocco e s’inventano il marchio made in Italy (che non c’è)

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Ciao Attilio, sai qual è la provenienza delle olive con cui viene prodotto l’olio che abitualmente compriamo e quotidianamente utilizziamo in cucina?

Comincia così un messaggio di posta elettronica che ricevo da  una sconosciuta, attraverso la piattaforma di petizioni online Change.org. La proposta è quella di firmare un appello, immagino al ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina. Eccolo, strafalcioni compresi:

Chiedo che nelle nostre tavole ci siamo in VERO MADE IN ITALY e che ci sia una maggiore TRASPARENZA tra i produttori e i consumatori.

Chi mi ha girato la petizione, evidentemente, non conosce il lavoro di indagine proprio sul made in Italy a tavola che ho iniziato cinque anni fa su questo blog. Domandare al sottoscritto di impegnarsi per la trasparenza dei cibi, passatemi il paragone fumettistico, è un po’ come chiedere a Tex Willer se è d’accordo sul proposito di ripulire il West da banditi e tagliagole. Fin qui, tuttavia, ci sta che il mio indirizzo email sia finito in non so quale database e che io riceva messaggi da persone che non mi conoscono e non sanno nulla di ciò che scrivo. Ma leggendo la email ho capito che le bestialità non si fermavano soltanto alla forma del messaggio. Innanzitutto la scoperta dell’acqua calda:

Da un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano è emerso che l’olio che abitualmente compriamo e quotidianamente utilizziamo in cucina non è assolutamente prodotto con olive italiane

Poi una bordata di scemenze:

Nonostante la dicitura che compare sulla bottiglia dell’olio “Made in Italiy”, di “Italy” c’è solo il 16% delle olive utilizzate, mentre il restante 84% è di provenienza estera (Spagna, Grecia, Turchia, Marocco). Inoltre, il giornale spiega che «un presunto cartello dell’olio italospagnolo che tiene bassi i prezzi, bypassa la qualità del prodotto ed elude le regole sulla concorrenza, ottenendo il marchio made in Italy pur avendo solo il 16% di olio italiano. Lo denuncia il nucleo di intelligence anti frode dell’Agenzia delle Dogane, che dal 2009 al 2013 ha redatto una serie di report che sono stati tutti secretati dalla commissione parlamentare d’inchiesta sulle contraffazioni».

Intelligence? Marchio made in Italy? Qualità bypassata? Di cosa stiamo parlando? Intuisco che chi mi propone di sottoscrivere la petizione non sa nulla di etichettatura e confezione dell’extravergine. Ma temo che sia in buona compagnia: neppure il collega che ha scritto l’articolo su Il Fatto Quotidiano.it sembra molto ferrato. Anzi…  Ma andiamo con ordine.

Marchio made in Italy

Francesco Cariello
Francesco Cariello

Faccio fatica a capire come il «presunto cartello dell’olio italospagnolo» riesca a ottenere «il marchio made in Italy pur avendo solo il 16% di olio italiano», come scrive Francesco De Palo nell’articolo. Per un fatto semplicissimo: il marchio made in Italy non esiste. Né c’è qualsivoglia ente che lo possa assegnare. Ma la bestialità non è farina del sacco di De Palo. Bensì del deputato Francesco Cariello, Movimento 5 Stelle, che riferisce di aver visionato un report redatto dal «nucleo di intelligence anti frode dell’Agenzia delle dogane», da cui emerge che «uno stesso soggetto abbia acquistato noti marchi italiani rigorosamente toscani e umbri appartenenti al giro di una sola famiglia, i Fusi. E che con solo il 16% di prodotto italiano guadagna il marchio made in Italy, mentre il restante 84% è di provenienza straniera».

Una bestialità tira l’altra

Ma il festival delle idiozie non finisce qui. Anzi, è appena iniziato. Come si evince chiaramente dalla lettura di un altro passaggio del pezzo che riferisce la dura presa di posizione del grillino che fra l’altro (Dio ci aiuti!) è vicepresidente della Commissione sulle contraffazioni:

Noi non sappiamo che olio consumiamo – è stata la denuncia del parlamentare 5 Stelle – perché mentre su tutti i prodotti di eccellenza italiana come ad esempio il vino si trova esattamente composizione e provenienza, sull’olio invece c’è solo un generico made in Italy, che non specifica la provenienza delle olive e che non consente all’Italia di ottenere i benefici economici che invece meriterebbe.

Innanzitutto è falso che su tutte le nostre eccellenze a tavola vi siano indicate le materie prime utilizzate e la provenienza. Al di fuori delle Dop e di pochissimi prodotti per i quali vige l’obbligo di indicare l’origine, per il resto c’è la massima opacità. A Cariello, poi, consiglio di farsi un giro in un qualsiasi supermercato sul territorio della Repubblica: in anni di indagini a tappeto fra i banconi della grande distribuzione, non mi è mai accaduto di imbattermi in un olio con la scritta made in Italy in etichetta che non fosse ottenuto da materia prima di casa nostra. Cosa che invece accade spesso per la pasta, prodotta lavorando miscele di grano duro italiano, comunitario ed extra Ue.

Le nuove etichette

Etichette olio ingrandite RR
Alcune bottiglie di extravergine

Al contrario, sulle etichette dell’extravergine è scritta, per legge, la provenienza dell’olio contenuto. Il regolamento europeo numero 1169/2011, obbliga l’industria di trasformazione a indicare l’origine della materia prima nel medesimo campo visivo su cui è apposta l’etichetta contenente la denominazione di vendita e il marchio. Vale a dire sul fronte della bottiglia. Fra l’altro l’altezza minima del carattere non può essere inferiore a 1,2 millimetri. L’effetto, come si evince dalle foto che ho scattato (un po’ frettolosamente e me ne scuso con i lettori) ieri sera nel supermercato Coop di Voghera, dimostrano che se il consumatore leggesse l’etichetta con attenzione, si accorgerebbe facilmente che l’extravergine destinato a finire sulla sua tavola, ha poco o nulla di italiano. Forse la confezione. Il problema, semmai, è un altro e cioè l’equivalenza compiuta dai consumatori: marchio italiano uguale prodotto italiano. Ed è in questa trappola che cadono le casalinghe e i casalinghi italiani.

marchio-italian-taste-600-600Come si vede, poi, sulle bottiglie non c’è traccia di marchio made in Italy. E non potrebbe essere diversamente: non è mai esistito. Se n’è discusso lungamente e molti, incluso il sottoscritto, avevano chiesto a Martina e al governo di presentarsi all’Expo con un logo unico da attribuire soltanto ai prodotti italiani al 100%. Il ministro ha optato per un simbolo destinato a identificare nei supermercati all’estero, i banconi contenenti il vero made in Italy: The extraordinary italian taste, lo straordinario gusto italiano. Scelta opinabile che però ha il pregio di evitare il niet della Commissione europea. È escluso, infatti, che un singolo prodotto possa fregiarsi del nuovo logo.

E comunque non serve consultare i rapporti secretati della intelligence doganale per scoprire che siamo invasi dall’olio d’importazione. Basta prendere nota dell’origine dichiarata su tutte le confezioni poste in vendita. Per documentare il fenomeno sono necessarie poche cose, tanto familiari al sottoscritto: un taccuino, la macchina fotografica e molto, moltissimo tempo. Quello necessario per girare a decine i punti vendita della distribuzione organizzata.

Mr. Carapelli declina l’invito

Non resisto alla tentazione di segnalare un passaggio dell’articolo, in cui leggo che il ministro Martina «ha preferito non fornire risposte alle domande de Ilfattoquotidiano.it. Identica la decisione di Carapelli che, interpellato sull’argomento, ha preferito per il momento non replicare». Ma esiste ancora un signor Carapelli che possa parlare a nome dell’omonima azienda? Il marchio, assieme a Bertolli e Sasso,  appartiene alla Deoleo spagnola, a sua volta controllata dal fondo inglese Cvc Partners. Gli eredi Carapelli sono usciti dalla società di famiglia nel 1989, cedendola alla Cereol, gruppo Ferruzzi. Orbene: quale Carapelli avrà mai interpellato Ilfattoquotidiano.it?

 

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2 COMMENTS

  1. Credo come lei che l’articolo del FQ e quanto riportato dal rappresentante M5S non sia rigoroso, però la sostanza è che il nucleo di intelligence dell’Agenzia delle Dogane ha redatto una serie di report da cui emerge un’attivita di elusione delle regole sulla concorrenza.
    E forse (tenendo conto anche di quanto hai scritto tu? 🙂 ) il nuovo articolo http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/10/olio-spacciato-per-extravergine-ma-era-di-categoria-2-indagate-a-torino-sette-aziende/2207026/ chiarisce meglio gli intenti.

    • Intanto grazie dell’attenzione, Rob. Lo scandalo delle 7 etichette finite sotto inchiesta va classificato alla voce «truffe». Se le accuse fossero provate dovrebbero scattare delle condanne esemplari. Altra cosa è sostenere, come ha fatto Francesco Cariello, vicepresidente della Commissione parlamentare sulle contraffazioni, che all’extravergine tarocco viene assegnato il marchio Made in Italy. Esprimersi in questo modo significa non sapere nulla della materia. Ed è per questo che mi scandalizzo.
      Tornerò presto sul tema, con un approfondimento dedicato al ruolo dell’Europa. Ti sarò grato se vorrai continuare a seguirmi: per farlo basta che ti abboni ai post.
      Grazie ancora del tuo contributo.

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