I 69 formaggi dell’Iper Galassia: come non vendere le specialità del territorio

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L’ingresso dell’Iper Galassia a Casei Gerola

Un pomeriggio di fine luglio, caldo da cuocere le uova al tegamino sul cofano della Imperturbabile che è poi la mia Fiat Panda a metano. Di vivace ha solo la carrozzeria, rosso fuoco, per il resto è assolutamente “imperturbabile”. Soprattutto alle sollecitazioni dell’acceleratore. Di ritorno dall’officina Fiat per un tagliando mi fermo all’Iper Galassia di Casei Gerola, un paesone noto più che altro per il casello dell’autostrada Milano-Serravalle. E per essere la porta sulla Lomellina per chi proviene da Voghera e dalla Valle Staffora.
Mi fermo per fare la piccola spesa: acqua minerale, sacchi della spazzatura, pappa dei gatti, pane e poco altro. Non frequento l’Iper Galassia: è fuori dalle mie rotte e francamente mi mette un po’ di tristezza. Da quando poi hanno chiuso l’ingresso principale per far transitare i clienti davanti alla galleria dei negozi, vengo ancor meno di prima. Fra l’altro, nel frattempo, molti negozi hanno chiuso. Forse sarà che ora, per parcheggiare in posizione comoda, bisogna percorrere una gimkana fra cordoli e file di automobili.
LA SORPRESA. Svogliatamente passo davanti ai banchi delle offerte: “Tutto a 2 e 3 euro”. Le solite cose. Poi la sorpresa, un banco dei formaggi strepitoso. Da far invidia ai negozi specializzati: decine di specialità di territorio, molte delle quali si trovano praticamente soltanto nei luoghi di origine. Oltre agli immancabili Grana Padano e Parmigiano Reggiano e alla Fontina in tutte le sue varianti ci sono diversi Pecorini, alcuni Dop, un Castelmagno Dop della Val Grana, nel Cuneese, da favola. E decine di altre prelibatezze che avrebbero da raccontare storie di bontà uniche e antiche legate strettamente ai territori dove si producono. Già, avrebbero… Nel senso che i formaggi sono esposti già porzionati in vaschette anonime con etichette praticamente «mute». Poco (pochissimo) o nulla sul produttore, silenzio assoluto sulla zona di origine. 
Così un esposizione di specialità locali, in tutto ben 69, diventa uno dei tanti banconi anonimi di cui purtroppo abbonda ancora la grande distribuzione.
Anche quando hanno in casa prodotti di prim’ordine non li sanno vendere. Se poi sono espressioni caratteristiche di un territorio, arrivano a spersonalizzarli, a svestirli delle informazioni che ne aumentano l’attrattività e inducono i consumatori a spendere magari qualcosa in più pur di portarsi a casa una specialità. Ma per innescare questo meccanismo bisogna raccontare le storie che stanno dietro a un vero festival di sapori. Andare ben oltre l’etichetta originale, che comunque è ben più completa dei cartellini apposti dall’Iper Galassia alle vaschette anonime allineate sul bancone. Come mi ha spiegato uno dei maggiori importatori che operano sul mercato cinese (ecco il link) accade la stessa cosa anche nell’ex Celeste Impero. A riprova che più informi il consumatore, più lo seduci con immagini e informazioni capaci di vestire il prodotto con la sua unicità, più lo induci a comperare in maniera intelligente. E in questo caso valorizzi pure il made in Italy a tavola.
Si tratta di capire se la grande distribuzione è interessata a farlo. Alla fine “rischierebbe” di vendere di più. Chissà cosa pensa al riguardo Dario Brendolan, veronese, proprietario assieme al fratello Renato della Maxi Di Srl, cui fanno capo gli Iper Galassia e da  poco presidente del gruppo Selex. Gli basterebbe confondersi fra il pubblico dei clienti che si imbattono nel bancone dei formaggi al Galassia di Casei Gerola, per capire cosa manchi al ben di Dio esposto: l’etichetta. Quella vera.


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