Corsa all’oro verde: i cinesi conquistano Berio e Sagra. Nell’olio Dante entra lo Stato

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È corsa all’olio italiano. La finanziaria pubblica cinese Bright Food acquisisce il controllo della Salov, che ha in pancia Sagra e Berio. Il nostro ministero dell’agricoltura entra col 20% nella Dante

L’olio extravergine italiano fa gola agli investitori. Anche a quelli pubblici. L’ultima notizia in ordine di tempo riguarda due marchi storici dell’industria oleicola made in Italy: Berio e Sagra. La quota di controllo della Salov, proprietaria dei due brand, passa di mano. A vendere sono gli eredi di due dinastie alimentari italiane, fondate una da Dino Fontana, l’altra da Filippo Berio. A comperare è la Bright Food, finanziaria pubblica cinese, impegnata in mezzo mondo in una campagna acquisti dispendiosa.

PECHINO FA SHOPPING. Il boccone lucchese (la Salov ha sede a Massarosa) è particolarmente ghiotto: oltre  all’olio a marchio proprio il gruppo guidato da Alberto Fontana ne produce anche per le catene della grande distribuzione che lo rivendono col brand di casa. Risultato: ricavi per 295 milioni di euro l’anno. D’altronde la Bright Food, braccio armato di Pechino nell’agroalimentare, non bada a spese. Ha da poco acquisito il controllo di tre aziende: l’inglese Weetabix, l’australiana Manassan Food e l’israeliana Tnuva. Per quest’ultima ha sborsato 2,5 miliardi di dollari. Che alla fine sono pure pochi visto il suo giro d’affari superiore ai 17 miliardi di verdoni. Solenne l’impegno assunto dal numero uno, Lv Yongjie: la produzione degli extravergine Salov non si sposta dall’Italia. Ma non sarebbe corretto dire che Sagra e Berio rimarranno due oli italiani, dal momento che già ora nelle bottiglie dei due marchi storici di olio tricolore non ce n’è molto. Sulle tre linee di produzione Sagra una sola, per la precisione la «Oro» è fatta con extravergine italiano al 100%. Le altre due utilizzano materia prima «comunitaria» e lo dichiarano in etichetta. Il Berio, invece, non lo vedo da anni, quindi non saprei dire con precisione da dove arrivi.

LA ISA IN SOCIETA’ CON MATALUNI. Ma è notizia dio questi giorni anche l’ingresso del capitale pubblico, questa volta italiano, in un altro brand storico: Dante. In questo caso a entrare in società col produttore, la Mataluni di Benevento, è nientemeno che la Isa, una finanziaria del nostro Ministero delle Politiche agricole. Esborso: 15 milioni che valgono il 20% del capitale dell’Olio Dante. Il ministro Maurizio Martina si è affrettato a precisare che non si tratta di un aiuto di stato, ma di un progetto di sviluppo destinato a durare nel tempo, otto anni per la precisione. Lo scopo dell’iniziativa, ha spiegato Enrico Corali, ad della Isa è lo sviluppo delle vendite di olio italiano al 100% sia in Italia sia all’estero. Anche in questo caso, però, l’oro verde Dante 100% Italia rappresenta soltanto una linea di prodotto su tre. Delle altre una è comunitaria e la terza addirittura di olio non extravergine.

QUANTO PESA IL VERO MADE IN ITALY? Capirei il coinvolgimento della mano pubblica nel rilancio  di un prodotto inequivocabilmente italiano. So che i liberisti col portafoglio degli altri (di cui il nostro Paese abbonda) storcerebbero il naso. Qui si tratta addirittura di un’azienda che produce anche vero olio italiano. Anche… Ho provato a chiedere all’ufficio stampa della Dante quanto pesi il prodotto a filiera tricolore sul totale. Senza successo. Mi è stato risposto che si tratta di «informazioni commerciali», dunque riservate. Il dubbio di fondo mi resta: cosa sta finanziando il ministero dell’Agricoltura? L’olio di Stato avrebbe senso, forse, se fosse tutto italiano. Diversamente l’intera vicenda diventerebbe paradossale.

SASSO, BERTOLLI e CARAPELLI. Un po’ come per la corsa al controllo di Sasso, Bertolli e Carapelli, ceduti dalla spagnola Deoleo al fondo inglese Cvc che ha bruciato sul filo di lana (si fa per dire!) il nostro Fondo strategico italiano. Se la proprietà fosse tornata a casa i dipendenti degli stabilimenti di Inveruno e Tavarnelle avrebbero potuto stare più tranquilli. Ma questa storia delle oliere di Stato con materia prima comunitaria, comincia a essere per lo meno imbarazzante. Se non sospetta.

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