Roberta Angelilli (Ppe/Pdl) |
Il Parlamento europeo boccia ancora la Commissione: sui prodotti importati dai Paesi terzi ci vuole l’etichetta con il «made in…» obbligatorio. L’aula di Strasburgo si è pronunciata a larghissima maggioranza con una risoluzione non legislativa che censura l’eurogoverno per la decisione di ritirare la proposta sulla dichiarazione d’origine.
Bruxelles ha fatto male a gettare la spugna per l’opposizione di alcuni Paesi, hanno scritto nella risoluzioni gli eurodeputati. Su pressioni – questo lo aggiungo io – del solito blocco dei Paesi nord europei guidati dalla «solita» Germania. Ha ragionissima l’eurodeputata Roberta Angelilli quando a proposito della Commissione parla di «politica commerciale totalmente fallimentare e autolesionista, soprattutto in un momento di crisi economica in cui l’Unione europea più che mai deve preservare l´industria manifatturiera e difendere i livelli occupazionali».
In effetti, oltre al diritto di chi acquista di sapere da dove arriva quel che sta mangiando o indossando c’è un livello che investe la sostenibilità sociale delle filiere produttive. «Le regole sul “made in” – spiega infatti la Angelilli – sarebbero uno strumento fondamentale a tutela delle imprese e dei cittadini europei, poiché obbligherebbero i paesi terzi a vendere i loro prodotti nell’Unione europea solo a condizione di indicare il Paese di origine sull’etichetta. Senza il regolamento, per il consumatore europeo è impossibile conoscere l’origine dei prodotti e fare scelte d´acquisto consapevoli. Questo mentre le imprese europee continuano a subire la concorrenza sleale dei produttori extra-Ue che spesso invadono il mercato con merci realizzate senza rispettare gli standard sociali, ambientali e di sicurezza minimi, se non addirittura utilizzando manodopera minorile o violando i diritti umani». Come nel caso della Cina. Il problema è che queste merci spesso vengono camuffate come europee da importatori e produttori disinvolti.