Il trattato di libero scambio Usa-Europa è una trappola per il made in Italy

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L’accordo di libero scambio transatlantico fra Europa e Usa, noto con il bruttissimo acronimo TTIP che sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership, è a un passaggio decisivo. È iniziato ieri in Virginia il quinto round di negoziati che si conclude venerdì 23 maggio. Non so dire se abbia ragione José Bové, storico leader no global degli agricoltori francesi ora candidato alle Europee per i Verdi con Franziska Ska Keller quando sostiene che è più pericoloso l’accordo Europa-America dell’euro.

Di sicuro l’abbattimento dei dazi doganali rischia di favorire i prodotti a stelle e strisce rispetto ai nostri. Soprattutto nell’abbigliamento, nella calzatura, nel manifatturiero e nell’agroalimentare. Se dovessero crearsi davvero 30 milioni di nuovi posti di lavoro – lo disse Obama l’anno scorso aprendo i negoziati per il TTIP – è più facile che accada sulla sponda americana dell’Atlantico. Addirittura, secondo uno studio dell’istituto svedese Ofse, c’è il rischio che in molti Paesi della Vecchia Europa il lavoro anziché crearsi si distrugga. Di sicuro non ci sarà quel regalo di 545 euro per ogni famiglia europea come sostiene un altro istituto il Centre for Economic Policy Research di Londra, in un focus scritto su incarico però della Commissione Ue (ma guarda un po’ il caso!).

Complice la campagna in corso da mesi su giornali e tv Usa contro il finto made in Italy, fatto sì in Italia ma con materie prime straniere (che poi è purtroppo la terribile verità nascosta dalla nostra industria alimentare), i presunti campioni tricolori avranno qualche problemino nello sbaragliare i cloni americani. Contrariamente a quanto profetizzano i sostenitori dell’accordo.

Senza contare la sorpresa in arrivo dall’Organizzazione mondiale della sanità: l’Oms si appresta infatti a tagliare dal 10 al 5 per cento il  peso ideale dello zucchero sulle calorie giornaliere. Se così fosse molte eccellenze italiane rischierebbero di essere messe all’indice. Come fa notare l’ottimo Mario Platero su il Sole 24 Ore, «lo zucchero non è solo nelle bibite, nei dolciumi o nelle caramelle, ma è anche nella pasta, nel latte, nei pomodori pelati e in molti altri prodotti agroalimentari centrali per le nostre esportazioni». Il testo della nuova raccomandazione firmata dall’Oms dovrebbe essere reso pubblico nella conferenza Onu in programma a New York il 10 e l’11 luglio.

Che abbia davvero ragione Bové?

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