In arrivo i disciplinari per la vera carne Made in Italy. Poi serve il marchio

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Martedì 6 settembre si è compiuto un piccolo passo – piccolo ma molto importante – verso il riconoscimento della vera carne italiana. La Conferenza Stato – Regioni ha approvato le linee guida da utilizzare per la stesura dei disciplinari di qualità per la vera Made in Italy. Quelli previsti, per intenderci, dal Sistema di qualità superiore nazionale varato la scorsa primavera. Così, da oggi, gli allevatori e le loro organizzazioni possono presentare al Ministero delle Politiche Agricole i disciplinari per rendere riconoscibili al consumatore i capi italiani, cresciuti, nutriti e macellati nel nostro Paese secondo criteri rigorosi. «Un ulteriore passo avanti», mi racconta Fabiano Barbisan, presidente del consorzio L’Italia Zootecnica, «che spero ci porti a una rapida approvazione dei disciplinari di produzione del vitellone ai cereali e del vitello al latte e cereali». Sono queste le due definizioni che gli allevatori hanno coniato per rendere l’idea ai consumatori di cosa è fatta la carne che portano in tavola. Quella buona e sana, per lo meno.
Sono dieci anni che Barbisan sta lottando per dare un nome alla carne prodotta in Italia, scontrandosi con la solita burocrazia assurda e contro i personalismi di scaldasedie di professione esperti nel non far nulla e nell’affossare le iniziative altrui. Soprattutto quando si ritiene che possano fare ombra al proprio ruolo. 
A marzo di quest’anno il primo tassello del Piano carni nazionale con l’approvazione alla Conferenza Stato-Regioni del Decreto ministeriale che istituisce il “Sistema di qualità superiore italiano”. Ora le linee guida. «A questo punto», dice Barbisan, «dobbiamo convincere il Ministero delle Politiche Agricole a registrare un marchio nazionale. Noi abbiamo proposto la denominazione “Sigillo italiano” con la possibilità di inserire in etichetta l’indicazione di “Prodotto garantito dal Ministero delle Politiche Agricole”, proprio in virtù dei controlli legati ai disciplinari».
Ora si tratta di vedere se c’è la volontà da parte del ministro Francesco Saverio Romano di pigiare sull’acceleratore per ottenere dalle Regioni l’ultimo via libera. L’intera operazione è a costo zero. Nessun impatto sui conti pubblici né sui bilanci delle regioni. Semmai, grazie al sigillo di qualità (quello che pubblico in testa al post lo ha realizzato un amico grafico ed è solo un’ipotesi fra le tante possibili), si potrebbe salvare la zootecnia italiana. Per promuovere il marchio della vera carne Made in Italy  basterebbe un accordo di filiera (quella che nel gergo viene definita “interprofessione”) fra allevatori, intermediari, macellatori e distribuzione: pochi centesimi a capo versati ad ogni passaggio basterebbero per racimolare i milioni di euro necessari a finanziare campagne promozionai che insegnino al consumatore a cercare, nei punti vendita, le bistecche o gli spezzatini Made in Italy. Come accade in Francia da anni. Poi sarà chi compra a scegliere, avendo ben chiara però la provenienza della carne.
Come sempre le soluzioni più efficaci sono a portata di mano. Basta volerle vedere. E gli allevatori le vedono, eccome. Solo con un progetto che parta da loro si può salvare la zootecnia italiana.

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