Lasciano fuori il vino italiano dall’Expo. In nome del multiculturalismo

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La notizia è di quelle che ti fanno venire il sangue alla testa: il vino italiano, l’eccellenza numero uno che ha trainato l’export del made in Italy anche in questi difficilissimi anni di crisi, starà fuori dall’Expo 2015. Per lo meno è stato escluso dalla selezione dei «cluster» tematici su cui Milano punta per differenziarsi dalle esposizioni universali precedenti. Cluster, intanto è una parola bruttissima. Respingente. Anche se, ironia, della sorte, è usato anche nell’accezione di «grappolo», nel nostro caso sta a indicare gruppi omogenei di produttori provenienti da luoghi diversi del pianeta, raggruppati nel medesimo padiglione, «Paesi accomunati dalla produzione di uno stesso prodotto alimentare», recita la presentazione ufficiale, «o interessati a sviluppare un tema condiviso e rappresentativo». I cluster su cui l’Expo punta sono nove, «sei dedicati alle filiere alimentari: caffè, riso, cacao, spezie, frutta e legumi, cereali e tuberi», leggo sempre dalla nota della Fiera, «e tre a temi specifici legati all’alimentazione: bio-mediterraneo è il primo tema, agricoltura e nutrizione nelle zone aride il secondo, isole, mare e cibo il terzo».
Sui Paesi invitati ci sarebbe da scrivere un romanzo, visto che la scelta pare più indirizzata da criteri politically correct che altro. Mancano infatti i grandi produttori dell’emisfero Nord del pianeta. Ad esempio per i cereali  – non dimentichiamo che il tema dell’Expo è «nutrire il pianeta» – sono assenti Cina, Stati Uniti e Russia, maggiori produttori di grano e mais. Mentre compare, nel cluster bio-mediterraneo, il Sovrano Ordine di Malta che in fatto di food experience è notoriamente in cima alle classifiche mondiali. Perdonate la digressione ma non ho resistito. Sta di fatto che il vino, al pari dell’olio d’oliva, è il grande assente dei cluster. Il motivo è semplice quanto inquietante. Ai cluster sono stati invitati i Paesi emergenti che diversamente non avrebbero avuto le risorse per acquistare un padiglione tutto loro. Una iniziativa meritoria. Sennonché – questo mi ha riferito una fonte vicina all’evento – per decidere i contenuti dei cluster l’organizzazione dell’Expo ha fatto un sondaggio fra gli invitati. Così il nettare di Bacco e l’extravergine sono stati esclusi dei padiglioni verticali.
Domanda del sottoscritto: ma c’è qualche altro contenitore destinato ad ospitarli? Risposta: «Probabilmente sì, ma ora non sappiamo». Ed è quell’avverbio, il «probabilmente», che mi preoccupa. Resta il fatto che nella migliore delle ipotesi, in nome di un multiculturalismo accomodante, due prodotti che rappresentano il top nella classifica mondiale delle eccellenze alimentari sono stati messi in lista d’attesa. Inutile sottolineare che una fiera, e l’Expo quello è in definitiva, assolve anche a compiti di indirizzo nelle politiche socio-industriali dei settori di cui tratta. Altrimenti diventa, nella migliore delle ipotesi, una parodia del viaggio di Alice nel paese delle meraviglie.
In definitiva, però, il vino è politically incorrect. Di che vi meravigliate? Mi resta comunque un rovello: cosa dirò agli amici viticoltori quando mi chiederanno dell’Expo? Abito nell’Oltrepò Pavese, una delle zone al mondo con la più alta concentrazione di viti e cantine. Quando Roberto, Emilio o Elena mi domanderanno, cosa devo rispondere loro? Non siete politicamente corretti. Per voi l’Expo è chiuso. Ma forse no. Posso sempre fare un giro di telefonate fra i rappresentanti dei Paesi invitati ai cluster: Bangladesh, Cambogia, Pakistan, Myanmar, Sierra Leone, Laos, Congo, Gambia, Guinea, Kyrgyzstan, Rwanda, Zambia, Georgia, Cuba, Afghanistan, Sri Lanka, Tanzania, Brunei,Vanuatu, Costa Rica, El Salvador, Etiopia, Guatemala, Kenya, Uganda, Yemen, Honduras, Panama, Benin, Bolivia, Repubblica del Congo, Haiti, Iraq, Mozambico, Paraguay, Togo, Zimbabwe, Camerun, Costa d’Avorio, Repubblica Dominicana, Gabon, Ghana, Sao Tomé e Principe, Albania, Algeria, Croazia, Egitto, Grecia, Libano, Malta, Sovrano Ordine di Malta, Montenegro, Tunisia, Serbia, Macedonia e Libia. Magari, con pazienza, capisco anch’io il senso dell’Expo 2015.
Intanto leggo sulle agenzie che è stata istituita una «cabina di regia» tra Expo, Padiglione Italia, governo e Conferenza delle Regioni per coordinare il coinvolgimento dei territori nell’esposizione. Aspettiamo di vedere cosa deciderà la cabina di regia. Certo, se questi sono i presupposti…

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