Inutile cercare la zona d’origine sulle confezioni dei pomodori pelati

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Mi scrive Moreno, un lettore di Etichettopoli, che ha acquistato un barattolo di pomodori pelati Del Monte ma dalla confezione non riesce a risalire alla zona d’origine. La sua preoccupazione – legittima aggiungo io – deriva dalle notizie sul possibile inquinamento di vaste aree del sud e della Campania in particolare innescate dalle confessioni del pentito Carmine Schiavone. Purtroppo i pelati così come i sughi di pomodoro non prevedono l’indicazione in etichetta della zona di origine della materia prima. Origine che al contrario è obbligatoria per la passata come ha ampiamente documentato Etichettopoli. La norma però ha un grande limite: è prevista l’indicazione del solo Paese di coltivazione e raccolta dei pomodori. Ulteriori indicazioni vengono apposte su base volontaria dai singoli produttori e a meno che non si tratti di Dop (Denominazione di origine protetta) rischiano di essere sanzionate dalle autorità competenti. Fra i tanti paradossi delle leggi che riguardano l’alimentazione, infatti, sta prevalendo l’impostazione europea: tutto quello che non è esplicitamente previsto dalle norme è implicitamente vietato. Valga per tutti il caso dell’olio d’oliva non extravergine. Un frantoio che indicasse in etichetta il luogo di provenienza delle olive rischia la multa o addirittura il sequestro dell’intero lotto, soprattutto se destinato all’esportazione negli altri Paesi della Ue. Un paradosso dovuto però alla pervicacia con cui la grande industria punta a nascondere l’origine degli ingredienti impiegati.
Mi risulta che fino allo scorso anno la Del Monte indicasse comunque l’origine italiana dei pomodori utilizzati per i propri pelati. Oltre però è difficile andare. Così temo proprio che Moreno debba tenersi la curiosità sulla zona di provenienza dei pelati che acquista. Sapendo che chi si azzardasse a dichiarare l’origine dei propri pomodori per tranquillizzare i consumatori – lo ha fatto la Pomì – rischia addirittura di essere additato al pubblico ludibrio. L’Italia dei «no» è anche questa. Chi acquista verdure coltivate lontano dalla Terra dei fuochi (dove secondo le confessioni tutte da verificare di Schiavone sarebbero finiti perfino rifiuti radioattivi) è bene che non lo dica. Altrimenti rischia l’accusa di essere «nordista». E allora teniamoci le etichette reticenti che hanno il pregio di essere egualitarie: buoni o cattivi che siano gli ingredienti del prodotto nessuno potrà lamentarsi di essere stato penalizzato. O peggio discriminato. I diritti dei consumatori? Chissenefrega!

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