Italia 22esima al mondo per sicurezza alimentare. Ma è una bufala dell’Economist

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Italia rimandata in sicurezza alimentare dagli esperti del settimanale inglese The Economist. La notizia è di mercoledì scorso, ma mi sono preso qualche giorno per leggermi il ponderoso allegato in cui si spiegano i criteri in base ai quali siamo scivolati al 22esimo posto nella classifica del Global food security index, l’Indice mondiale della sicurezza alimentare. Oibò, adesso vuoi vedere che siamo perdenti anche in uno dei settori in cui riusciamo a dire la nostra a livello internazionale?Rank-1-25
In realtà la sostanziale bocciatura del food italiano, discende direttamente dai criteri in base ai quali i ricercatori della Intelligence Unit dell’Economist classificano le filiere agroalimentari dei diversi Paesi. E qui casca l’asino, forse anche nel senso letterale del termine. Se pensate che i cibi italiani vengano dopo quelli che si possono mangiare negli Stati Uniti, in Norvegia, in Olanda, in Finlandia e perfino a Singapore per una mera valutazione sulla salubrità e sui controlli medico-sanitari, vi sbagliate di grosso. Nulla di tutto questo. I fattori con cui gli «intelligentissimi» dell’Economist ci hanno rimandati a settembre  variano dalla disponibilità degli stock a magazzino ai prezzi, fino agli investimenti pubblici in ricerca per l’agricoltura. Passando per l’incidenza delle spese alimentari sul bilancio familiare, la capacità di assorbimento urbano (e cosa sarà?), il rischio di stabilità politica, la corruzione, le infrastrutture stradali e portuali, la volatilità della produzione agricola. Per finire con l’Indice di opportunità economica delle donne, elaborato sempre dalla Intelligence Unit dell’Economist.
Ecco svelato il trucco: siamo così in basso in classifica perché la sicurezza alimentare in senso stretto è solamente uno dei 39 fattori presi in considerazione. C’è di più: anche limitandoci alla sola variabile “sicurezza alimentare”, siamo sì primi in classifica, ma a pari merito con altri 30 Paesi, inclusi Bielorussia, Malaysia, Turchia e Singapore. Non scherziamo: la sicurezza di ciò che portiamo in tavola è una cosa maledettamente seria. Quando si gioca con i numeri può accadere di ottenere dei risultati inverosimili, di più: impossibili. È accaduto pure a me. Ma a quel punto bisogna avere l’onestà intellettuale di ammetterlo. Anche se si lavora al team degli «intelligentissimi» di The Economist.
Per pura curiosità ho chiesto alla Dupont – che ha sponsorizzato l’iniziativa – alcuni chiarimenti. Vi racconterò. Se mi rispondono naturalmente.

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