Il casalingo di Voghera nella giungla dell’olio extravergine. Si parte dall’Iper di Montebello/1

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Non si sono ancora spenti gli echi della polemica sollevata dal New York Times che ha raccontato il «Suicidio dell’extravergine italiano», ricostruendone la catena logistica sotto forma di vignette, pungenti e impietose (ecco il link al post dove ricostruisco la vicenda). Secondo il giornale americano il nostro olio extravergine sarebbe #italianomanontroppo, per prendere a prestito un hashtag che ho coniato in stile Twitter. Personalmente ritengo che il quotidiano Usa abbia ragione e l’indignazione a comando di molti dei protagonisti italiani della vicenda sia assolutamente fuori luogo.
Ma come mi accade spesso mi sono fatto una domanda: se gli americani ci accusano di taroccare l’extravergine e venderlo travestito da olio italiano, cosa accade da noi? Cosa trova la casalinga di Voghera nei supermercati dove va a fare la spesa abitualmente? Così ho iniziato un’inchiesta ripercorrendo le tappe della casalinga di Voghera. Ieri sono stato all’Iper di Montebello della Battaglia, lo storico negozio della catena  La grande i, dove ho censito tutte le confezioni di olio extravergine in vendita, in tutto 65, classificandole in base a 3 elementi: il prezzo (al litro), la presenza o meno di simboli quali il tricolore che consentano al consumatore di individuarne immediatamente l’origine e l’origine dichiarata in etichetta.
Per facilitare la lettura della tabella ho assegnato colori diversi alle referenze censite: blu/azzurro per gli extravergini che dichiarano un’origine non italiana della materia prima, le olive; rosa per gli oli immediatamente identificabili come italiani e grigio per quelli che nonostante derivino da olive coltivate e frante in Italia, non utilizzano né simboli (il tricolore ad esempio) né scritte di dimensione tale da consentire alla casalinga di Voghera di riconoscerli come italiani nei pochi secondi di attenzione dedicata alla scelta davanti al bancone del supermercato.
Il risultato è desolante: appena 17 bottiglie di extravergine su 65 si fanno riconoscere come italiane al 100%. In pratica una su quattro. Le altre, che rappresentano il 75% delle referenze esposte all’Iper, sono Dop difficili per il consumatore medio da identificare come nazionali, oppure oli della Unione europea venduti sotto brand italianissimi.

Il prezzo, di per sé, non è un elemento che possa aiutare a distinguere l’extravergine italiano da quello #italianomanontroppo. Stante la concentrazione delle Dop nella parte alta della tabella, vi sono oli «comunitari» mischiati a quelli tutti made in Italy. Il valore mediano equivale alla referenza numero 33, guardacaso una Dop, La Terra di Bari-Bitonto di Terre d’Italia, che costa 7,87 euro al litro. Al di sotto di quel valore si trovano però molti extravergine italiani al 100%, mentre sopra, come #italianimanontroppo, ci sono solo il Farchioni Fruttato (7,99 euro al litro) e il Carapelli Delizia (7,93 euro).
Morale: ben difficilmente la casalinga di Voghera riesce a orientarsi in questa giungla di referenze, riuscendo a scegliere tra veri oli made in Italy, (le Dop), che fanno di tutto per celare la loro italianità, oli a filiera trasparente e finti extravergine italiani che puntano sulla marca – questa sì riconoscibile come nazionale – per farsi scegliere. Chi ci capisce qualcosa è bravo…
La prossima puntata all’Esselunga.

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