La Coca Cola, il Papa e quelle pressioni per fare entrare i cibi Ogm in Europa

0
1229

Mentre gli italiani dicono un nuovo no ai cibi Ogm, ottenuti cioè da organismi geneticamente modificati, il commissario europeo all’agricoltura Dacian Ciolos svela i retroscena sulle pressioni degli Usa per far accettare alla Ue le coltivazioni su vasta scala proprio di Ogm. E il numero uno di Confagricoltura, Mario Guidi, fa sapere di non aver alcuna preclusione in materia, anzi: «oltre un anno fa», racconta, «ho assaggiato un’ottima polenta preparata con mais Ogm e a tutt’oggi sto benissimo. Io una cavia? Può darsi, ma sono cosciente di quel che faccio».
Ma andiamo con ordine. L’ennesimo «no, grazie» agli alimenti transgenici viene da una ricerca curata dalla Interactive market research per il mensile Espansione e illustrata ieri, domenica 8 maggio, nell’ambito del salone Tuttofood in corso alla Fiera di Milano. Ebbene, il 74% degli italiani considera quasi sicuri, probabili o comunque non da escludere danni alla salute per chi mangia prodotti alimentari geneticamente modificati e il 55,8% non assaggerebbe un piatto Ogm neppure se gli fosse proposto nel suo ristorante preferito.
Più o meno mentre al salone milanese dell’alimentazione venivano presentati questi dati, il Commissario Dacian Ciolos rilasciava un’intervista al quotidiano romeno Adevarul, svelando quel che tutti già sospettavano da tempo: gli Stati Uniti continuano a esercitare forti pressioni sulla Commissione Europea per convincerla ad aprire alle coltivazioni Ogm.
Salubrità a parte in Europa c’è un veto alle coltivazioni transgeniche (ad esclusione di un determinato tipo di mais e una patata ma solo per uso industriale) per la forte opposizione di Francia e Italia che difendono la biodiversità anche in nome delle migliaia di prodotti tipici. E’ Coldiretti, la maggiore organizzazione del settore agricolo a chiarire la questione: «Gli Ogm», fa sapere la confederazione guidata da Sergio Marini, «spingono verso un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico della tipicità, della distintività e del Made in Italy. Peraltro in Europa anche negli 8 paesi su 27 dove la coltivazione è ammessa sono calati del 3% i terreni seminati con organismi geneticamente modificati nel 2010 a conferma della crescente diffidenza nei confronti di una tecnologia che gli agricoltori europei stanno abbandonando».
Che la posta in gioco sia alta lo dimostrano anche le polemiche seguite alla rivelazione di Wikileaks (era il dicembre dello scorso anno) su altre pressioni pro Ogm, quelle esercitate dall’ambasciattore Usa in Vaticano per ottenere un pronunciamento favorevole della Santa Sede. L’esito dev’essere stato di segno opposto visto che il portavoce del Papa, padre Federico Lombardi, si è affrettatto a precisare che «l’apertura agli organismi geneticamente modificati della recente settimana di studio della Pontificia accademia delle scienze non può essere considerata come una posizione ufficiale della Santa Sede». Insomma, Benedetto XVI non ha detto sì ai cibi transgenici e non pensa di farlo. Almeno per ora.
L’apertura all’ingegneria genetica nei campi rischia fra l’altro di arrivare quanto mai intempestiva visto che il gotha dell’industria alimentare mondiale ha allo studio una “conversione” ai prodotti dall’origine trasparente. Come sanno i lettori di Etichettopoli, la Sai Platform, organismo creato dalle marche mondiali per supportare l’agricoltura sostenibile, ha avviato un giro di contatti con i grandi distretti produttivi italiani per verificare la disponibilità di materie prime tracciabili e dall’origine certa. Proprio ora che Coca Cola, Kraft, Danone, Heineken, Kellog’s, McDonald’s, Nestlé, Pepsicola e Unilever – giusto per citare i nomi più noti – stanno pensando di convertirsi al vero Made in Italy, il via libera all’ingegneria genetica rischia di essere più intempestivo di un cappotto indossato ad agosto.

Print Friendly, PDF & Email

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here