La guerra Plasmon-Barilla e l’offensiva contro i prodotti «non industriali»

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Nella guerra all’ultimo biscotto e all’ultimo maccheroncino Barilla ha vinto un round importante: il Tribunale di Milano ha obbligato la società dell’omino col martello a sospendere la pubblicità comparativa fra i propri biscotti e le Macine del Mulino Bianco. Fra l’altro, si leggeva nella réclame bloccata: «Questi biscotti (le Macine, ndr) vanno bene per gli adulti ma possono contenere livelli di pesticidi anche molto superiori ai limiti di legge per i bambini con meno di tre anni». Il Tribunale, giovedì 8 dicembre, ha stoppato la campagna Plasmon ritenendola «ingannevole» e «denigratoria».

Più o meno negli stessi giorni la corazzata della pasta italiana ha modificato però le etichette della propria linea dei «Piccolini» (maccheroni di piccolo formato) aggiungeno la scritta: «Per consumatori sopra i 3 anni». Anche in questo caso tutto è partito con uno scontro fra Barilla e la società controllata dalla multinazionale Heinz che accusava Barilla di trarre in inganno i consumatori inducendoli a ritenere i «Piccolini» un alimento per bimbi sotto i tre anni, mentrre non lo sono, visto che – recitava lo spot anti-Barilla «possono contenere livelli di pesticidi anche molto superiori ai limiti di legge stabiliti per i bambini con meno di tre anni». La stessa dizione bocciata dal tribunale a proposito di biscotti.
Non posso fare a meno di notare che entrambi i produttori non indicano l’origine della materia prima. Dunque il grano da cui provengono i Piccolini Barilla e i Maccheroncini Plasmon potrebbe essere, per quel che è dato capire leggendo l’etichetta, italiano ma anche canadese, ucraino o statunitense. Quando si dice trasparenza…
La guerra legal-pubblicitaria fra le due società, probabilmente, non si può considerare chiusa. Oltre al possibile ricorso della Plasmon contro la sentenza dei giudici milanesi, la società parmigiana può a questo punto essere tentata di citare in giudizio il vulcanico concorrente anche per lo scontro su pennette e maccheroni. In questo caso non resta che attendere. Ma c’è da registrare una vera e propria offensiva sula presunta pericolosità degli alimenti naturali derivati dal frumento. E’ della scorsa settimana la notizia diffusa dall’agenzia Adnkronos nel notiziario online Prometeo su un altro scontro. Questa volta fra pediatri. Da una parte l’Acp (Associazione culturale pediatri), dall’altra la Federazione italiana medici pediatri (Fimp). Al centro, manco a dirlo, il baby food, l’alimentazione per i più piccoli. I pediatri del’Acp «si dissociano – così si legge nel comunicato ripreso dall’Adn – dalle raccomandazioni sui vantaggi degli alimenti industriali specifici per l’infanzia per la nutrizione dei bambini, recentemente diffuse in un depliant per le famiglie della Fimp». Il motivo è semplice: «Non è scientificamente provata – sostengono i pediatri della Acp – la maggiore qualità degli alimenti industriali specifici per l’infanzia e per la nutrizione dei bambini rispetto ai prodotti naturali».
D’altronde la Federazione italiana pediatri non è nuova a queste prese di posizione. All’inizio del mese di dicembre, il presidente delle Fimp Giuseppe Mele dal congresso europeo della categoria svoltosi a Istanbul ha tuonato: «Solo il pediatra può garantire il baby food». A scanso di equivoci Mele ha chiarito il concetto in una nota diffusa il 2 dicembre e pubblicata sul sito della Federazione: «Le famiglie europee sono raggiunte da messaggi che tendono a presentare come “baby food” cibi e alimenti sui quali non esiste chiarezza tossicologica e scientifica. La pediatria europea desidera ricordare alle famiglie e alle industrie che solo il pediatra è garante dell’equilibrio nutrizionale di singoli alimenti». La guerra sui cibi per i più piccoli è solo all’inizio.

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