La Parmalat francese fa scorpacciata di finto made in Italy americano

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Una pubblicità del formaggio Sorrento

L’operazione risale alla seconda metà di maggio: la Parmalat ha rilevato tutte le attività americane del gruppo francese Lactalis, a sua volta azionista di controllo della società di Collecchio, scalata nell’estate 2011. Costo dell’acquisizione poco meno di un miliardo di euro. In sintesi il riservatissimo miliardario francese Emmanuel Besnier, proprietario di Lactalis e pure di Parmalat, ha fatto acquistare all’ex gioiello del gruppo Tanzi tutto quello che possiede in Usa. In questo modo il “tesoretto” faticosamente messo da parte da Enrico Bondi durante il difficile salvataggio della Parmalat ha preso la strada di Parigi. Ma questo è noto e non fa una grinza da un punto di vista dei meccanismi societari, anche se la Consob ha raccomandato a Collecchio la massima trasparenza: le operazioni infragruppo possono non piacere a chi ne subisce gli effetti ma si fanno da sempre.
Non è stato chiarito fino in fondo, però, il vero cambiamento a livello industriale che subisce la Parmalat: in pancia a Lactalis Usa ci sono numerosi marchi di formaggi prodotti e commercializzati negli Stati Uniti. Molti hanno nomi inequivocabilmente italiani, inclusi la linea etichettata come «Sorrento» e una improbabilissima «Mozzarella Fresca»  (ne avete mai viste di stagionate?) a marchio Galbani, altra società finita nell’orbita francese. Due casi fra tantissimi di italian sounding: si sfrutta il nome italiano per indurre i consumatori ad acquistare un prodotto pensando si tratti di made in Italy. Anche se di italiano non ha proprio nulla.
Così, di colpo, la ex corazzata italiana del latte, fa scorpacciata di formaggi «tarocchi», entrando di diritto nel club mondiale dei venditori di finti prodotti italiani. 
Da un punto di vista del diritto anche questo aspetto dell’acquisizione è ineccepibile: non c’è alcuna legge che vieti a una società italiana di fare all’estero prodotti della nostra tradizione alimentare spacciandoli come autentici. Fino a non più di tre anni fa si poteva vendere  perfino in Europa (nonostante le norme a protezione sulle Dop) il finto Parmigiano Reggiano, ribattezzandolo Parmesan oppure Regianito. Ora non più. Ma il resto del mondo, Usa, Sud America, Russia, Cina e India, è virtualmente una prateria sconfinata per i taroccatori. E rimarrà tale fino a quanto l’Organizzazione mondiale del commercio (la Wto) non accetterà di far valere in tutti i Paesi che vi aderiscono le norme a protezione delle denominazioni d’origine.
Di recente il ministro dello Sviluppo Corrado Passera ha obbligato la finanziaria pubblica Simest a uscire dal capitale di Lactitalia, società romena dei fratelli Pinna che a Izvin – nei pressi di Timisoara – produce un improbabilissimo Pecorino. In questo caso il governo non può fare nulla. Dunque dobbiamo accettare l’idea che una ex colonna dell’italianità a tavola abbia in pancia anche parecchio made in Italy tarocco.
Dio non voglia che i francesi riescano a mettere le mani pure sulla Fiera di Parma come hanno provato a fare. Non è un mistero che proprio Besnier abbia da tempo nel cassetto un piano per trasformare la città emiliana in un vero e proprio hub in terra italiana. E’ pronto anche l’ombrello finanziario per realizzare il progetto: quello di Cariparma, controllata dalla francese Crédit Agricole. A quel punto potremmo anche decidere di ribattezzare la vecchia Via Emilia che da Piacenza fino all’Adriatrico tocca tutte le capitali della food valley italiana con un nome francese: cose ne pensate di Boulevard Emilià (l’accento è solo fonetico perché in francese non si mette)?

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