La passata Pomì non è «nordista». È tracciabile

2
1507

Le confessioni di Carmine Schiavone sulla Terra dei fuochi stanno facendo una vittima incolpevole: la passata di pomodoro Pomì. Lo scandalo è noto: il superpentito dei Casalesi va raccontando da 16 anni di come la camorra abbia sotterrato in vaste aree della Campania (dal litorale Domizio fino alla fascia al confine tra le province di Napoli e Caserta) decine di migliaia di tonnellate di rifiuti: semplice spazzatura, ma anche fanghi industriali, reflui chimici e perfino materiale radioattivo proveniente dalla Germania. In tutto sarebbero stati contaminati 2500 ettari. Cosa centri il pomodoro e la Pomì è presto detto: nelle zone che secondo Schiavone sarebbero state contaminate si produce verdura – tanta – e pure parecchia mozzarella di bufala. È lui stesso a puntualizzarlo, parlando  con magistrati e giornalisti.
Ora accade che nel bel mezzo dello scandalo (un po’ a scoppio ritardato visto che la deposizione del pentito è agli atti del Parlamento da sedici anni) Pomì esce sui giornali con una campagna pubblicitaria che ha provocato la rivolta: «Solo da qui, solo Pomì», recita lo slogan che campeggia su un’italia settentrionale stilizzata con in evidenza quattro regioni, Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Apriti cielo: su Twitter e pure sul Web è scoppiata la rivolta. Dagli al pomodoro «nordista» che ha il coraggio di rivendicare le proprie origini per non essere travolto dal prevedibile calo di vendite (con scandali annessi, quanto scommettete?) della pummarola, uno dei simboli del Sud a tavola.
Trovo questa campagna contro un’azienda che ha fatto della trasparenza la propria ragione d’essere becera, beota e inaccettabile. E per tre motivi.
1) La Pomì, da quando è stata rilevata dal fallimento della Parmalat di Calisto Tanzi è diventata un’azienda modello che ha puntato su un elemento distintivo: la tracciabilità. Scritta per altro nel Dna della nuova impresa. Ad acquistare il marchio, dall’ex impero Tanzi in disfacimento – era il 2007 – è stata la Boschi Food & Beverage, società controllata allora dal Consorzio Casalasco del pomodoro (80%) e dal Cio, il Consorzio interregionale ortofrutticoli (20%), guidato all’epoca dall’amico Marco Crotti, un pioniere del made in Italy e della tracciabilità. La forza dei nuovi padroni era proprio quella di poter garantire l’italianità del prodotto in una fase di mercato in cui si era scatenata l’invasione di ortofrutticoli di dubbia provenienza, con migliaia di tonnellate di pomodori provenienti dalla Cina.
2) Si potrà discutere sulla scelta di uscire con la campagna in pieno scandalo per la Terra dei fuochi, ma la Pomì ha tutto diritto di rivendicare la provenienza e la salubrità dei propri prodotti, Oppure, in nome di un egualitarismo fesso e irresponsabile dobbiamo chiedere all’azienda di tacere e subire il danno che potenzialmente potrebbe toccare la pummarola perché «non sta bene distinguersi dagli altri produttori di pomodoro lavorato»? Non sarebbe politically correct rivendicare le proprie origini pulite – in tutti i sensi – in un frangente come questo. Per la serie: siamo tutti inquinati e chi non lo è fa bene a tacere!
3) Che senso ha prendersela con i produttori onesti? Anziché accusare di nordismo chi per motivi geografici produce in una certa area del Paese, forse i soliti specialisti dell’indignazione a comando, farebbero bene a chiedersi dove fossero le istituzioni quando la camorra riempiva il sottosuolo campano con ogni genere di porcheria. Dove guardassero, ad esempio, sindaci, magistrati, Carabinieri e forze dell’ordine in genere. Senza dimenticare i proprietari dei terreni sotto i quali sono seppellite tonnellate e tonnellate di spazzatura. Già, pure gli agricoltori. Anche perché i territori dove la camorra avrebbe gestito il traffico di rifiuti pericolosi, portando a casa 600 milioni di lire al mese, non si trovano nel Sael e neppure nel deserto del Gobi, ma in una delle province più densamente popolate d’Italia. Possibile che tutti stessero guardando da un’altra parte quando gli escavatori capaci di perforare fino a 18 metri di profondità – così ha detto Schiavone nelle interviste televisive che ho ascoltato – sconvolgevano le campagne attorno a Napoli? Sempre che le dichiarazioni del pentito siano veritiere e non si rivelino invece l’ennesima bomba a orologeria innescata dalla criminalità organizzata per depistare e disinformare. Non sarebbe certo la prima volta che accade in Italia.
Nel frattempo giù le mani dal pomodoro pulito! Pom-C3-AC-pubblicit-C3-A0

Print Friendly, PDF & Email

2 COMMENTS

  1. solo un commento: la difesa della Pomì è ancora più vergognosa della pubblicità. Ti auguro di mangiare quel pomodoro, pieno di polveri sottili e di sapore sciapo, oltre che eticamente vergognoso l’approfittarsi di un momento di difficoltà di altre aree. Maledetti i Sabaudi che hanno unificato l’Italia.

    • Caro lettore, mi dispiace deluderla. I pomodori che utilizza la Pomì non sono certo di sapore sciapo né sono pieni di polveri sottili la cui concentrazione è elevata nelle zone urbane e non nei campi. Le microparticelle, inoltre, sono pericolose per la respirazione ma non entrano nel ciclo dei vegetali. Quindi nei pomodori NON si trovano.
      Comunque, secondo lei, un produttore che utilizza materia prima di provenienza sicura dovrebbe tacerlo e rinunciare a difendere le proprie vendite e indirettamente i produttori di pomodori? Ammesso che esistano dei pomodori a rischio, coltivati su terreni inquinati (questo non lo so è non ho elementi per dirlo), chi li coltiva in zone sicure non dovrebbe dire nulla? Una sorta di egualitarismo vegetale che si commenta da solo.
      Sui Savoia sono perfettamente d’accordo con lei.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here