La pasta sbarca in Borsa: arrivano i «futures» sul grano duro. Ma occhio alle speculazioni

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Da lunedì 21 gennaio sarà possibile negoziare in Italia i contratti futures sul grano duro. Attraverso la piattaforma Idem della Borsa Italiana. Inizialmente all’Agrex, così si chiama il mercato dei derivati sulle commodity italiane, verranno negoziati solo i futures sul grano duro. Poi sul resto. 

 «Il grano duro», spiega nel documento ufficiale la Borsa, «è utilizzato principalmente per produrre pasta in Europa e cuscus in Nord Africa e Medio Oriente. Le oscillazioni dell’offerta possono determinare estrema volatilità nei prezzi: i futures permettono agli operatori di coprirsi da variazioni indesiderate, promuovendo quindi una migliore programmazione e aumentando al contempo la trasparenza del mercato». 
Positive le reazioni dei pastai. «L’Agrex è un’idea brillantissima – afferma Vincenzo Divella, amministratore delegato dell’omonimo gruppo – che va applicata soprattutto in Italia, dove abbiamo la materia prima e serve uno strumento per aver maggiore efficienza, come i contratti di filiera che abbiamo fatto con gli agricoltori e i sementifici».
Tutto bene, dunque? Personalmente ho parecchi dubbi. Non dimentichiamo che i futures sono il regno della speculazione. Le mani forti che manovrano i corsi dei titoli su tutti i mercati mondiali vanno a nozze con le commodity. Perfino più di quanto accada con le azioni. Per capirlo bisogna comprendere però cosa sia un future. In pratica è un contratto in base al quale un venditore e un compratore si impegnano l’uno a cedere l’altro ad acquistare una determinata merce, stabilendo all’atto della firma il prezzo a cui se la scambieranno e la data precisa dell’operazione. Quando cioè avverrà la consegna della merce. Non a caso si parla di «future contract», contratto a realizzazione futura. Fin qui tutto lineare. Il problema è che il 70% dei futures sulle derrate alimentari non si chiude con lo scambio fisico dei prodotti. È carta contro carta, speculazione allo stato puro. Non a caso è diventato uno dei mercati più colpiti da chi si arricchisce muovendo le quotazioni.

Se l’obiettivo è quello di «calmierare» i prezzi del grano, i futures non sono la strada giusta. Vale per tutti l’esempio del petrolio. Durante la prima Guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991) chi avesse acquistato a luglio del ’90 il future sul greggio avrebbe guadagnato nel giro di due mesi e mezzo il 1.349%. DI tanto era aumentata la quotazione del «contratto a realizzazione futura» sul petrolio. Ma avrebbe dovuto rivenderlo prima della scadenza perché l’oro nero fisico non aumento se non di una frazione rispetto a questa percentuale.
Il paradosso di tutto ciò è che i produttori mai (o quasi mai) hanno un vantaggio economico dalle speculazioni sulle commodity. Le mani forti regolano fra l’oro gli scambi di carta. Agli altri neppure le briciole.
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