L’Assitol mi scrive sull’olio G dei fratelli Turri: è l’Europa che impedisce di dichiararne l’origine

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Ricordate il post che ho pubblicato giorni fa sull’Olio Turri? In proposito ho ricevuto una precisazione di Claudio Ranzani, direttore generale dell‘Assitol, l’Associazione italiana dell’industria olearia, aderente a Confindustria. Qui sotto pubblico la precisazione integrale.
So bene che i regolamenti comunitari sono pieni di bestialità. Partorite al solo scopo di favorire l’industria dell’anonimato, tanto cara alla Germania della cancelliera Angela Merkel. Resta il fatto che la F.lli Turri, produce un olio la cui origine è totalmente sconosciuta. Al pari dei tanti marchi di cui abbondano i nostri punti vendita. Ed è talmente poco orgogliosa di questa sua produzione da non inserirla a catalogo sul proprio sito internet. L’olio d’oliva «G» è il grande assente nella galleria di squisitezze rigorosamente made in Italy ivi presentate. Una coincidenza? Chissà…
In realtà non ho mai accusato nessuno, come scrive Ranzani. Quando analizzo le etichette mi limito a riportare quel che vi trovo o non vi trovo. Come farebbe un consumatore scrupoloso. Quanto sta dietro alle indicazioni dichiarate sulla confezione, in termini di regolamenti (demenziali e antidemocratici) partoriti dall’Unione europea, può essere semmai oggetto di un’approfondimento di carattere «politico». Come spesso faccio su Etichettopoli. I due piani, tuttavia, sono diversi. E tali devono rimanere. Altrimenti dovremmo presupporre che i 40 milioni di consumatori italiani che fanno la spesa regolarmente si trasformino in veri esperti di normative comunitarie.
Sull’opportunità di intervenire sulla legislazione europea in materia di diritti dei consumatori, penso che Etichettopoli non si sia mai tirato indietro. Personalmente dei regolamenti partoriti dai Soloni di Bruxelles che vietano di dichiarare l’origine dei prodotti alimentari farei una cosa soltanto: un gigantesco falò. E se il direttore dell’Assitol ha in animo di protestare per le assurdità del diritto comunitario in materia di alimentazione e consumo, forse farebbe bene a rivolgersi non a Etichettopoli, bensì alla confederazione cui aderisce. La Confindustria. Ad esempio, perché non prova a chiedere chiarimenti alla «cugina» Federalimentare, il cui presidente Filippo Ferrua Magliani è arrivato a dire che il made in Italy «è una categoria mentale»?
Alla fine, comunque, dopo tanto scrivere e (temo) annoiare i lettori mi è rimasto un dubbio amletico: da dove verranno le olive utilizzate per produrre l’olio «G»? Perché questo né la F.lli Turri né l’Assitol ce lo hanno detto. Non ci sarà per caso un regolamento comunitario che impedisce anche di soddisfare la curiosità di un blogger? Chissà…

PS – Il signor «G» a cui facevo riferimento nel tentativo di decifrare il marchio della F.lli Turri, come ho scritto nel post precedente, non era Giorgio Gaber che mai mi permetterei di scomodare per questo genere di cose. Bensì il compagno Primo Greganti capace di tacere per tre mesi (tanto rimase in galera) su quello che i giudici di mani pulite volevano sapere da lui: la conferma di una tangente miliardaria (in lire) destinata secondo gli inquirenti al Pds.
Ecco, comunque, la lettera dell’Assitol…

Egr. dott. Barbieri,
attraverso il passaparola ho potuto leggere il suo commento relativo all’olio d’oliva Turri, azienda nostra associata, e desidero amichevolmente fornirle spiegazioni circa la relativa etichetta, che trovo del tutto rispondente alle prescrizioni di legge per i motivi che vado qui ad illustrarle.
Lei segnala che sia sull’etichetta principale che sulla retro etichetta compare la scritta «Composto da oli di oliva raffinati e da oli vergini» e che sulla retro etichetta compare anche la scritta «Olio contenente esclusivamente oli di oliva che hanno subito un processo di raffinazione e oli ottenuti direttamente dalle olive» e le commenta, come se queste scritte fossero una scelta della Società Turri.
Viceversa, la stessa Turri si è limitata a riportare esattamente le scritte che il regolamento CE 1019/2002 (ora regolamento UE 29/2012), all’articolo 3, lettera c, impone di mettere sull’etichetta di tutti gli oli d’oliva.
Non c’è ovviamente alcun merito a rispettare una legge, ma credo converrà con me che le sue critiche andrebbero semmai rivolte al legislatore comunitario che ha imposto queste scritte e non certo all’azienda.
Successivamente, lei lamenta il “silenzio assoluto” sulla zona d’origine.
Di nuovo, il citato regolamento comunitario, dopo aver affermato al considerando 5 che “per le altre categorie di oli commestibili (diverse dagli oli vergine ed extravergine d’oliva) non vi sono differenze sostanziali legate all’origine, come potrebbe invece far credere l’indicazione dell’origine sugli imballaggi destinati ai consumatori” stabilisce all’articolo 4 che “la designazione dell’origine non figura sull’etichetta dei prodotti definiti all’allegato XVI, punti 3 e 6, del regolamento (CE) n. 1234/2007” che, tradotto dall’eurogergo in lingua italiana, significa che è vietato indicare l’origine in etichetta e pubblicità per l’olio d’oliva.
Di nuovo, di cosa viene accusata l’Azienda Turri? Di aver scrupolosamente rispettato la legge che le vieta di parlare di origine?
Va viceversa rilevato che, come tutte le imprese serie, l’Azienda ha la tracciabilità delle proprie produzioni, ma la tracciabilità è cosa ben diversa dall’indicazione d’origine.
Infine, parte da queste critiche per impostare una dissertazione sul marchio “G”, del tutto erronea.
Molto semplicemente, come l’Azienda potrà facilmente documentarle, molti anni fa la Turri vendeva due tipi di olio d’oliva, uno “Delicato” ed uno “Gustoso”, con caratteristiche ovviamente differenti.
Lo stesso regolamento comunitario che ha provocato le sue critiche, all’articolo 5, lettera g, ha stabilito che “le indicazioni delle caratteristiche organolettiche relative al gusto e/o all’odore possono figurare unicamente per gli oli di oliva extra vergini o vergini” e perciò sono vietate per gli oli d’oliva.
Che poteva fare la povera Società Turri per permettere ai consumatori dell’olio d’oliva gustoso di continuare a distinguerlo dalla varietà delicata, dovendo togliere i termini per non rischiare di essere accusata di aver violato la legge?
Ha deciso di lasciare solo le lettere “D” e “G”, che fanno ovviamente parte del marchio aziendale, tanto poco organolettici che lei li ha scambiati per un’evocazione del caro Giorgio Gaber o del lago di Garda.
Di nuovo, tuttavia, mi pare che lei dovrebbe prendersela con il legislatore, non certamente con l’Azienda.
Non entro qui nel merito delle disposizioni di legge, sulle quali condivido molte delle sue critiche e ne formulerei altre ancora (basti pensare all’assurdità di vietare di parlare di gusto per un prodotto alimentare!) e su chi si è fatto valere per ottenerle (non certo noi o l’Azienda Turri!).
Le confermo tuttavia fin d’ora la mia disponibilità a chiarirgliele; in tal modo potrebbe meglio comprendere le critiche della Società Deoleo, pure riportate sul blog.
Le allego, ad ogni buon conto, il testo completo del regolamento, in modo che possa puntualmente verificare quanto sopra da me puntualizzato.
Cordiali saluti.

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