Latte, salumi e biscotti: l’Europa ci chiede un referendum?

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Tempo qualche settimana, quelle che serviranno alla lenta burocrazia di Bruxelles per pubblicare sulla Gazzetta ufficiale europea il nuovo regolamento sull’etichettatura e per le carni bovine, suine, caprine e ovine sarà obbligatorio indicare il Paese d’origine. Resta fuori tutto il resto, formaggi, salumi, pasta e prodotti da forno, giusto per fare qualche esempio. Ma c’è una porticina che il Parlamento europeo ha lasciato aperta e dalla quale i Paesi come l’Italia che devono difendere un patrimonio enogastronomico e agricolo ineguagliabile, possono far passare la tracciabilità anche su alimenti che non siano la carne. Lo prevede l’articolo 39 del regolamento approvato in settimana a Strasburgo con una maggioranza schiacciante: 606 voti a favore, 46 contrari e 26 astenuti. L’articolo si intitola: «Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari», cioè aggiuntive. Vi risparmio la citazione integrale del testo che è fitta di rimandi a mezzo mondo, come sempre accade per le legislazioni a carattere tecnico. La parte che ci interessa recita testualmente:

«Gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del Paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione (europea), gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni».

Ora mi chiedo: cosa significa «un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza»? Non si può trattare di prodotti Dop visto che sono strettamente ancorati a un territorio. Allora quale mai sarà questo nesso? Francamente non so dirvi. Indagherò.
Altra parte di dubbia interpretazione è quella finale: come si può accertare che la maggior parte dei consumatori attribuisca «un valore significativo alla fornitura di tali informazioni»? Si fa un referendum? Oppure si commissiona un gigantesco sondaggio d’opinione su un campione di alcune decine di migliaia di italiani? E che valore avrebbe poi questo studio? Chissà… Non voglio fare il finto tonto ma fatico a capire il meccanismo di funzionamento dell’articolo 39. Per ora segniamocelo con la matita rossa, sono sicuro che se ne parlerà parecchio nei prossimi mesi.

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