Le balle atomiche hanno distrutto il made in Japan

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L’emergenza nucleare in Giappone con la Tepco, società cui fa capo l’impianto di Fukushima, che si scusa per una sequela infinita di errori è lo specchio del crollo d’immagine per il made in Japan nel mondo. Certo, è facile parlare dal proprio angolino “sicuro” a Milano. Bisognerebbe trovarsi sull’isola di Honshu per capire cosa accade e cosa si prova a trovarsi vicini a un impianto atomico che sta andando a quel paese.
Vero. Verissimo. Resta il fatto che assieme ai reattori, travolti dallo tsunami, è venuto giù uno dei miti degli ultimi trent’anni: l’infallibilità del made in Japan. Le prime avvisaglie, i primi scricchiolii nella corazzata della Qualità Totale (con la Q e la T rigorosamente maiuscole) ci sono stati a cavallo fra il 2009 e il 2010 quando Toyota fu costretta a richiamare centinaia di migliaia di vetture per un possibile difetto di fabbricazione: il pedale dell’acceleratore rimaneva bloccato. La campagna di richiamo scattò con l’arrivo su Youtube di un  video della polizia (se ricordo bene dell’Illinois) che riprendeva dall’alto una Corolla impazzita mentre percorreva a velocità folle un’autostrada. L’audio era la conversazione (concitata e piena d’angoscia) fra il guidatore e il centralino del 9 11, l’equivalente del nostro 113.
Akio Toyoda, presidente dellla casa giapponese si scusò pubblicamente. Ma la frittata era fatta: nel mito dei “difetti zero” figlio del Total Quality management si era aperta una crepa grande come una casa.
Ora le negligenze della Tepco a Fukushima con una serie di errori impressionante, l’ultimo dei quali è una misurazione totalmente sbagliata sulla radioattività nell’ambiente attorno alla centrale nucleare. Gli sbagli sono ritenuti così gravi che Tokyo sta pensando di nazionalizzare la Tepco e forse pure le altre società che gestiscono le centrali atomiche in Giappone.
Il boom che aveva condotto l’Impero del Sol Levante al secondo posto fra le economie più forti al Mondo, poggiava sulle fondamenta decennali di una fiducia che le imprese giapponesi si erano conquistate a prezzo di sacrifici enormi. Ricordo uno studio molto interessante e per quel che ne so tuttora insuperato condotto dal professor Lucio Fabbriciani di Perugia sulla legittimazione del proceso circolare del miglioramento continuo in fabbrica. Il primo passo verso la Qualità Totale.
Ora tutto questo non è più. L’immagine del Paese, della sua industria e in definitiva del Made in Japan si è fortemente appannata. Di colpo l’origine giapponese di un prodotto ha cessato di rappresentare un plus per diventare addirittura un minus. Gli sbagli alla catena di montaggio ci stanno. Così come i terremoti, purtroppo. Quel che i giapponesi e il resto del mondo non possono accettare sono le frottole raccontate per coprire una verità scomoda. Che prima o poi viene a galla.

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