Le dimissioni telematiche non le vuole nessuno

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La scorsa settimana si è svolto a Milano il convegno sulla nuova procedura online prevista dal Jobs Act. Alla tavola rotonda, organizzata dall’associazione dei direttori delle risorse umane, hanno partecipato aziende, associazioni di categoria e sindacati. Ecco il punto

La nuova procedura delle dimissioni telematiche contenuta nel decreto ministeriale 151/2015 e in vigore dal 12 marzo non piace a nessuno. Non piace ai lavoratori  che, in un momento critico del loro percorso professionale, si trovano costretti a dover seguire un iter burocratico diabolico per potersi dimettere; non piace ai datori di lavoro, perché in questo marchingegno sono soggetti passivi non tutelati; non piace alle associazioni di categoria, spaventate dalle complicazioni burocratiche; non piace ai sindacati, perché nonostante siano chiamati in causa insieme ai patronati e ai Caf, per svolgere la funzione di intermediario abilitato, sono ancora oggi in attesa di una circolare che renda comprensibile l’enorme mole di adempimenti introdotti dal decreto ministeriale. Difficile stabilire oggi se il decreto attuativo del Jobs Act alla voce semplificazione sortirà effetti benefici e risolutivi per contrastare il fenomeno delle dimissioni in bianco. Certo è che un primo e dirompente effetto lo ha già ottenuto: mettere d’accordo in un colpo solo sindacati, aziende, associazioni e dipendenti. Un fatto quasi storico!

Risorse umane in convegno

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Paolo Citterio, presidente dell’associazione Gidp

È quanto è emerso nel corso del convegno «Dimissioni e risoluzioni consensuali solo per via telematica», organizzato la scorsa settimana a Milano da GIDP, l’associazione dei direttori delle risorse umane. Al dibattito, sapientemente guidato da Paolo Citterio, presidente GIDP e deus ex machina dell’evento, hanno preso parte Serena Bontempelli, segretaria UIL Milano e Lombardia, Paolo Pagaria, responsabile area lavoro di Confcommercio Milano, Lodi e Monza e Brianza, Marco Crippa, direttore risorse umane di Goglio S.p.A.
«Oltre alle enormi difficoltà che sicuramente incontreranno il lavoratori nella compilazione del modulo – pensiamo ai dipendenti dimissionari che non hanno il computer e a coloro che non conoscono l’italiano – quello che preoccupa in modo particolare le imprese è la mole di adempimenti che dovranno affrontare quando riceveranno le dimissioni scritte o quando addirittura il dipendente scomparirà da un giorno con l’altro senza lasciare traccia», ha detto Paolo Citterio, presidente di GIDP, in apertura dei lavori. «Che cosa dovranno fare gli imprenditori, dovranno licenziare i lavoratori dimissionari che non hanno seguito la procedura? E se il lavoratore dovesse revocare le dimissioni dopo sette giorni, perché questo prevede la procedura, come ci si dovrà comportare? Insomma, se questo significa diminuire la burocrazia e facilitare i rapporti tra imprese e lavoratori siamo davvero sulla strada sbagliata», ha detto Citterio. «Chiediamo con forza che questa procedura impossibile sia modificata nel più breve tempo, tanto più che dal Ministero sono giunti segnali che lasciano ben sperare», ha ribadito il presidente di GIDP

Nei meandri della burograzia

Per capire bene i contorni della questione occorre però fare un passo indietro. Teresa Pileggi e Barbara Cervi dello Studio Associato Pagani, hanno delimitato i confini tecnici e procedurali entro i quali si dovranno muovere il lavoratore e le imprese. Innanzitutto le dimissioni per essere valide dovranno essere presentate in forma elettronica, altrimenti saranno ritenute nulle. Il lavoratore può decidere se farsi assistere da uno dei soggetti abilitati previsti dalla norma (patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali e commissioni di certificazione) o se agire in totale autonomia. In quest’ultimo caso deve munirsi di pazienza e seguire attentamente tutti i passi previsti dalla procedura. Innanzitutto deve registrarsi sul portale internet cliclavoro.gov.it compilando un modello predisposto per le dimissioni. Per farlo, tuttavia, deve possedere il Pin (numero di identificazione personale) che attesta la sua posizione presso l’Inps. In caso contrario deve registrarsi sul portale dell’Inps e farne richiesta. Il codice sarà composto da due parti: la prima sarà comunicata subito per posta elettronica, la seconda gli verrà recapitata a casa in busta chiusa, presumibilmente entro una settimana.
A quel punto il lavoratore dimissionando potrà procedere alla compilazione del modello online fornendo tutte le informazioni necessarie per risalire al rapporto di lavoro. Alcune di queste informazioni, per esempio i dati relativi al datore di lavoro (codice fiscale, denominazione) e al rapporto di lavoro in corso dovrebbero comparire automaticamente sul modulo grazie al collegamento con il sistema delle Comunicazioni Obbligatorie. Questo vale solo per i rapporti di lavoro instaurati dopo il 2008, anno in cui è entrato in vigore il sistema. Gli sfortunati che sono stati assunti prima di tale data dovranno arrangiarsi da soli e inserire manualmente tutti i dati.
Posto che si sia riusciti a completare tutti i campi, compresa la data di decorrenza delle dimissioni, il sistema attribuirà la data di trasmissione (marca temporale) e un codice identificativo della pratica che sarà inviata automaticamente alla casella di posta certificata (Pec) del datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro.

Dimission impossible

«Più che dimissioni telematiche è il caso di chiamarle di-mission impossibile», ha sintetizzato ironicamente Serena Bontempelli, segretaria Uil Milano e Lombardia. «Il fine è certamente nobile, visto che il fenomeno delle dimissioni in bianco che colpisce soprattutto le donne in maternità è tutt’altro che debellato, ma le modalità sono complicate e difficili da seguire», ha raccontato Serena Bontempelli.

Ancora più perplesso Paolo Pagaria, responsabile area lavoro di Confcommercio, il quale sostiene che la nuova normativa non solo non serve a contrastare le dimissioni in bianco ma genera ulteriore confusione. «La procedura, che non si applica ai soggetti più esposti, non prevede alcuna forma di tutela nel caso in cui, per i motivi più disparati, il lavoratore non la dovesse rispettare e favorisce addirittura i comportamenti illeciti e il contenzioso tra azienda e dipendente, con un aumento dei costi assolutamente ingiustificato».

«La normativa mostra gravi lacune tecniche e apre incertezze ingestibili per le aziende», ha detto Marco Crippa. «Non solo: il decreto si basa su un principio ideologico inaccettabile, ovvero considerare affette da vizi tutte le dimissioni. La procedura è scritta male ed è stata ideata da incompetenti, ecco perché va modificata al più presto», ha spiegato il dirigente di Goglio S.p.A.

Quando la “pezza” genera più danni

Una procedura, insomma, che genera più quesiti che certezze, e che denota un preoccupante stato confusionale nel quale sono entrate le istituzioni. Un esempio? Nei giorni scorsi il Ministero del lavoro ha emanato una prima circolare nel tentativo di spiegare alcuni aspetti della nuova regola. Risultato? La confusione e l’incertezza applicativa sono aumentate. Nella circolare si legge infatti che la procedura telematica non riguarda il settore pubblico poiché, spiegano i burocrati del Ministero, il fenomeno delle dimissioni in bianco non esisterebbe nel pubblico impiego. Una tesi basata su un dato statistico non verificato e che potrebbe addirittura cambiare nel tempo. Che cosa succederebbe nel caso in cui si dovesse scoprire che al contrario il fenomeno colpisce anche i lavoratori statali? La circolare include inoltre le dimissioni durante il periodo di prova tra i casi per i quali la procedura telematica non si applica, nonostante la legge suggerisca tutt’altra lettura. Il documento interpretativo conferma infine l’altro grande paradosso che la procedura promette di generare, ovvero quello legato al periodo di preavviso. Se è vero che le dimissioni decorrono dal giorno in cui sono state convalidate per via telematica, il lavoratore che decide di compilare in solitudine il modulo online dovrà attendere un paio di settimane prima di poter iniziare il periodo di preavviso. Questo genera un prolungamento del tempo che dovrà trascorrere in azienda anche in ragione del fatto che in molti settori il giorno del preavviso decorre dal 1° o dal 15 di ogni mese. Se la compilazione del modulo dovesse terminare oltre queste scadenze, il lavoratore e l’azienda si vedrebbero costretti a vivere un rapporto ormai terminato, con tutto ciò che questo potrebbe comportare, in una sorta di limbo davvero inaccettabile per tutti.

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