L’etichetta europea per il tessile è solo fumo negli occhi

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«Fare fumo»: con questa tecnica, emettendo fitte cortine fumogene le navi militari in difficoltà cercavano di sfuggire al nemico che le inseguiva. Per lo meno fin quando non è stato inventato il radar. Il fumo funzionava da schermo dietro il quale il battello in difficoltà poteva attuare delle manovre diversive, sganciandosi dagli inseguitori.

E’ più o meno quanto è accaduto ieri a Strasburgo. Il Parlamento europeo ha approvato una legge sull’etichettatura dei prodotti tessili. Nulla a che vedere con l’origine, però, anche se l’Assise europea aveva chiesto a più riprese di indicare pure il “Made in…”. Proposta che il Consiglio della Ue ha respinto al mittente. Così la nuova etichetta si limiterà a indicare se un capo d’abbigliamento, per esempio una giacca o una gonna, contiene «parti non tessili di origine animale». Dunque pelli o pellicce. Tutto ciò a beneficio, si legge nel documento ufficiale di quanti soffrono di allergie.

Oltre l’accordo non è andato: il relatore olandese del provvedimento, il liberale Toine Manders, è riuscito a strappare alla Commissione europea l’impegno di presentare uno studio entro il 30 settembre 3013 sulla fattibilità di un sistema di etichettatura trasparente per dare ai consumatori «informazioni accurate sul Paese d’origine e informazioni supplementari per assicurare la completa tracciabilità del prodotto tessile». Una formula, quella dello studio di fattibilità, usata nella Ue per allungare i tempi dei confronti fra istituzioni sulle questioni più spinose.

Il no del Consiglio Ue che ha provocato lo stralcio delle norme sulla tracciabilità è ispirato dalla grande industria tessile europea e dai marchi più noti che temono il deprezzamento dei propri prodotti. Paghereste 150 euro una felpa Made in India o un paio di pantaloni provenienti dal Vietnam? Penso proprio di no. Ed è questo che spaventa le industrie. Pure quelle di casa nostra che dietro alla cortina fumogena delle nuova etichetta  possono continuare a spacciare per italiani capi che tali non sono.

Sugli effetti di queste pratiche commerciali (e imprenditoriali) opache chiedere alle decine di migliaia di ex dipendenti italiani delle aziende tessili che hanno chiuso. Questa è l’Europa, belli!

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