L’etichetta Made in Italy non c’entra con la qualità dei prodotti. Parola di Confagricoltura

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Alla fine a Cibus Tour, la prima edizione aperta al grande pubblico dell’omonimo salone che si è chiusa ieri a Parma, si è parlato anche di etichette. Non sono riuscito a seguire tutti gli eventi della fiera ma da quel che mi risulta non c’è stata una presa di posizione ufficiale sul tema dell’origine, per esempio della Federalimentare o dell’Assica (industria delle carni). Così è toccato alla Confagricoltura avventurarsi sul terreno insidioso della tracciabilità e delle etichette trasparenti. Nessuna meraviglia: Confagri era partner dell’evento assieme a Slow Food.
NIENTE BONARDA. Arrivo a Parma in tarda mattinata a bordo della “Stupida”, una vecchia Punto a metano col contachilometri pericolosamente vicino a quota 250mila e mi inoltro nei padiglioni del quartiere fieristico di Baganzola. Il clima è quello sano delle sagre di paese, nobilitato però dalla cornice nazionale della manifestazione. Decine, centinaia di espositori che offrono di tutto, dal culatello alla soppressata, dalla pasta garantita Made in Italy ai salami di Varzi. E poi gli itinerari del gusto proposti da Slow Food. Per un attimo la nostalgia di casa mi assale: cerco fra le oltre 300 etichette di vini il Bonarda: dopo un panino al culatello che pareva appena sceso dalle mense degli Dei, un bicchiere di rosso delle mie parti, l’Oltrepò, è quello che ci vuole. Ricerca vana: di Bonarda non c’è traccia. Mi accontento di una Freisa che si rivela però un triste surrogato.
IL SEMINARIO. Ma io ero a Cibus per seguire il seminario sulle etichette. Così,  dopo un girovagare senza meta fra uno stand e l’altro, raggiungo il padiglione 5, dove Confagri occupa un’area molto vasta.Basta profumi e sapori: è tempo di lavorare.  Il seminario prometteva bene, fin dal titolo: “Le tante facce dell’etichetta, la riconoscibilità non è sempre garanzia di qualità”. Finalmente, mi sono detto, ho la possibilità di capire come mai la confederazione che rappresenta la grande proprietà terriera in Italia, è a dir poco molto tiepida rispetto alla legge sull’etichettatura obbigatoria approvata dal parlamento a gennaio. L’ex presidente Federico Vecchioni, sostituito pochi giorno or sono da Mario Guidi, non ha mai nascosto di ritenere prematura la nuova normativa italiana consigliando di attendere il pronunciamento dell’Europa. E visto che Bruxelles è decisamente contraria all’etichetta parlante il messaggio implicito era abbastanza chiaro.
In verità l’incontro di ieri non ha dissipato i miei dubbi. Anzi, ne ha aperti di nuovi.Contrariamente al titolo Confagri ha ammannito ai presenti una spiegazione (pure interessante) sull’etichettatura del latte e sulle diverse tecniche di lavorazione e confezionamento: differenza fra latte fresco, microfiltrato, sterilizzato, pastorizzato, a lunga conservazione. Dunque, inopinatamente, è stato cambiato il taglio e pure il tema del seminario. Al mutamento di rotta in corsa si è adattato pure l’ufficio stampa della Fiera che ieri ha diffuso un comunicato sull’incontro intitolato: “Workshop Confagricoltura al Cibus Tour, le tante facce dell’etichetta del latte”. Latte, già, proprio il latte.
HO SBAGLIATO SALA. A un certo punto mi dico: ho sbagliato sala, evidentemente il seminario sulla riconoscibilità è da un altra parte. Ma non è così. Il luogo era quello giusto. A cambiare era “solo” il tema dell’incontro. A ricondurre la discussione sulla trasparenza in tavola ci ha pensato però il pubblico, incluso il sottoscritto. Così Giandomenico Consalvo, componente della Giunta di Confagri, è stato costretto ad avventurarsi sul terreno scivoloso della tracciabilità. «Bisogna spiegare al consumatore», ha affermato, «che una cosa è la riconoscibilità e un’altra la garanzia di qualità. Non c’è correlazione. L’etichetta spiega e orienta. La garanzia di qualità non viene dall’etichettatura ma dall’impegno e serietà dei produttori, dei controlli e dalla tracciabilità del prodotto assicurata dalla normativa europea». Inutile fargli notare che Bruxelles sta giocando una partita “contro” la trasparenza degli alimenti. «A volte l’Europa è contraria», ha risposto Consalvo quando gli ho fatto  notare che Commissione e Consiglio della Ue non perdono occasione per intervenire a gamba tesa quando l’Italia prova a legiferare in materia. «La tracciabilità del prodotto significa “rintracciabilità”», ha proseguito, «cioè raccolta delle informazioni lungo tutta la filiera produttiva che, in caso di allarme su una partita, permette di ricostruire a ritroso la storia del prodotto».
TENIAMOCI LE ETICHETTE RETICENTI. Provo a decifrare: l’etichetta trasparente? Non è necessaria! Fidiamoci dei controlli sui prodotti finiti che effettuano i corpi di polizia preposti a questa funzione, in particolare la Forestale e i Carabinieri del nucleo antifrodi. Già, perché il consumatore finale non ha i mezzi (ne è pensabile che lo possa fare) per svolgere accertamenti sulla catena che porta dal campo alla tavola. Dunque, aggiungo io, teniamoci le etichette reticenti.
Certo non è un no secco, inequivocabile, quello pronunciato dalla Confagri. Ma forse è peggio. E mi resta un dubbio: perché un’organizzazione di agricoltori italiani è così tiepida nei confronti della dichiarazione del Made in Italy alimentare? In fin dei conti a trarne vantaggio sono i coltivatori oltre ai consumatori. Il Parlamento, quando ha approvato a gennaio la nuova norma sull’etichettatura, era cosciente di dare una grande occasione al vero Made in Italy alimentare e ai milioni di persone che campano di quello. Immaginate di vedere su uno scaffale del supermercato due prodotti simili, due barattoli di sugo di pomodoro per esempio. Sul primo compare la scritta “fatto con pomodoro italiano”, sull’altro “fatto con pomodoro cinese”. Quale acquistereste? La legge sulla trasparenza della filiera, oltre a garantire l’origine delle materie prime a beneficio dei consumatori, ha pure l’obiettivo di rilanciare la nostra agricoltura.
L’incontro a Cibus finisce, giusto il tempo per scambiare quattro battute col tenente Marco Uguzzoni, comandante del nucleo Antifrodi dei Carabinieri di Parma che mi racconta della maxi operazione conclusa in provincia di Agrigento col sequestro di 3mila tonnellate di olio tunisino di pessima qualità destinato a diventare extravergine italiano. A smascherare la frode un gruppo di assaggiatori: i campioni che avevano superato i test di laboratorio sono stati smascherati dai “sommelier” del succo d’oliva.
IL FINALE DI PARTITA. Sul workshop si spengono le luci, Consalvo guadagna l’uscita velocemente («C’è un aereo che mi aspetta»).  Io rimango con i miei dubbi ma anche con una certezza. Il finale di partita a Cibus sulla filiera trasparente è stato proprio quello che avevo anticipato la settimana scorsa: teniamoci le etichette reticenti. Non mi resta che riguadagnare il parcheggio e risalire sulla “Stupida”. Sperando che ancora una volta mi riporti a casa. Un dubbio che mi assale ogniqualvolta giro la chiave dell’accensione. In questo caso però mi è andata bene.

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