L’etichettatura obbligatoria dell’olio non è ancora in vigore ma già fa miracoli

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Parole in libertà. Era il 1912 quando Filippo Tommaso Marinetti, il fondatore del futurismo, inventò un nuovo genere poetico che prevedeva l’abolizione di sintassi e ortografia assieme all’uso di caratteri di dimensione e colori diversi. Ma l’espressione “parole in libertà” è anche un modo di dire entrato nell’uso comune che sta a significare parole espresse liberamente, senza prendersi la responsabilità fino in fondo di quanto si dice.
Perché vi racconto queste cose? L’idea mi è venuta leggendo (in ritardo) un comunicato stampa diffuso la settimana scorsa dall’Unaprol, il maggiore consorzio olivicolo italiano cui aderiscono 550mila produttori. A parlare era il presidente della corazzata dell’oro verde, Massimo Gargano che esprimeva soddisfazione per l’aumento del divario fra le quotazioni all’ingrosso dell’olio italiano rispetto a quello spagnolo, obiettivamente di qualità inferiore. Ecco cosa diceva: «La tendenza che si sta manifestando è quella di un gap evidente fra le quotazioni italiane e quelle spagnole in particolare. La differenza media fra tali quotazioni nel periodo 2007-2010 è di 54 centesimi. Nei primi due mesi (del 2011, ndr) invece il divario è salito e sfiora quasi l’euro (97 centesimi). Merito dell’etichettatura obbligatoria».
Ora i fatti sono questi: l’etichettatura dell’extravergine avviene tuttora in base a un regolamento comunitario emanato nel 2009 da Bruxelles che di fatto cancellava (letteralmente: cancellava) le precedenti disposizioni in materia approvate dall’Italia nel 2007. Da allora in poi nulla è cambiato perché la nuova legge sull’etichettatura, approvata il 18 gennaio scorso, non è ancora entrata in funzione. L’ultima novità – si fa per dire – è l’annuncio fatto in settimana dal ministro dell’Agricoltura Francesco Saverio Romano, sull’imminente presentazione di un decreto riguardante la tracciabilità dell’extravergine. Il resto è la solita giungla: etichette reticenti che in almeno nove casi su 10, se si eccettuano gli oli Dop, fa delle confezioni un vero e proprio rebus. Impossibile da risolvere. Le marche più diffuse utilizzano, come ho documentato nel post del 25 gennaio scorso, la definizione “ottenuto con oli extravegini comunitari”. E per quel che mi consta in taluni casi dentro a quelle bottiglie potrebbe esserci pure la spremitura di olive importata dal Nord Africa. Visto che nel resto d’Europa non è obbligatorio dichiarare l’origine della materia prima, quando la si sdogana per esempio in Grecia o Spagna ne acquisisce immediatamente la cittadinanza. Una specie di naturalizzazione commerciale istantanea.
Ora mi domando però: a quale etichettatura obbligatoria si riferiva il presidente dell’Unaprol? A quella europea che di fatto permette tutto fuorché la tracciabilità? Oppure alla nuova legge italiana non ancora entrata in vigore? Nessuno contesta che le nostre quotazioni al frantoio siano cresciute più di quelle spagnole. Tutto sta a capire cosa c’entri l’etichetta.
Alle volte è meglio non chiedersi come sia potuto accadere. Come per i miracoli.
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