L’Europa spara ad alzo zero sul made in Italy

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Latte, formaggi e salumi: comincia la battaglia per l’etichetta d’origine. Così titolavo l’ultimo post di ieri in cui ho descritto il primo confronto al Ministero dell’Agricoltura fra produttori e trasformatori (l’industria). La battaglia ci sarà. Per la precisione è già cominciata. Ma a dar fuoco alle polveri è stata l’Unione europea. Da Bruxelles è arrivato un secco altolà all’Italia sulla tracciabilità degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole. Ad accendere il semaforo rosso sono stati due commissari europei, in pratica due “ministri”. Si tratta di John Dalli (Salute) e Dacian Ciolos (Agricoltura) che hanno recapitato a Giancarlo Galan, il nostro ministro dell’Agricoltura, una lettera in cui giudicano «inopportuna» la legge sull’etichettatura obbligatoria approvata dalla Camera dei deputati  il 18 gennaio. 

La missiva era attesa: l’aveva anticipata anche Etichettopoli in un post del 21 gennaio scorso (ecco il link: http://www.italiainprimapagina.it/search/label/Europa). La data che compare in alto alla nota è quella del 25 gennaio, ma pare – così ha detto Galan – che al dicastero di via XX Settembre sia arrivata soltanto il 1° febbraio.
Date a parte il succo dell’avvertimento è semplice: alla materia (etichettatura degli alimenti) stiamo lavorando noi. Il dossier è all’attenzione sia dell’eurogoverno sia del Parlamento europeo. Il Consiglio dei ministri Ue il 14 febbraio, fra due lunedì, dovrebbe raggiungere un accordo per l’etichettatura della carne, compresa quella di maiale, e del pollame. Dunque, cari italiani, statevene buoni. Non rompete le scatole, fa sapere Bruxelles,  con le vostre velleitarie fuge in avanti sulla tracciabilità degli alimenti.
Peccato che, qualunque sia il regolamento della Ue destinato a diventare vincolante per tutti i Ventisette, ben dificilmente imporrà l’obbligo di indicare l’origine delle materie prime sulle confezioni. In questo senso si è pronunciato il Consiglio europeo dei ministri della Salute che lo scorso 7 dicembre ha cancellato con un tratto di penna il lavoro svolto dall’assemblea di Strasburgo. Niente tracciabilità: semmai si può parlare di una indicazione dell’origine su base volontaria da parte della singola industria alimentare. Parole, fumo negli occhi.
L’Europa non vuole che sia possibile distinguere il vero made in Italy dalla miriade di alimenti che inondano le nostre tavole ogni giorno senza contenere spesso neppure un grammo di materia prima italiana. Prosciutti olandesi, formaggi ricavati dalla cagliata di latte polacco, bresaole stagionate a partire dalla carne di Gnu, pasta “italianissima” contenente però solo frumento ucraino.
E ora cosa succederà?
Le organizzazioni degli agricoltori, Coldiretti in testa, si dicono fiduciose. Galan sottolinea la «piena sintonia con gli orientamenti comunitari» ed è convinto – leggiamo nella nota diffusa ieri dall’ufficio del portavoce – che  quanto «fatto in Italia in questa delicatissima materia sarà tenuto nella giusta considerazione dalle istituzioni comunitarie».
Sarà. Intanto il primo siluro è partito. Di solito ne arrivano altri.
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