L’extravergine #italianomanontroppo che si trova in Usa

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Ecco l’extravergine «italiano», con tanto di nastro tricolore, che gli americani trovano sul bancone. A parte la scritta «Imported from Italy» (che si potrebbe comunque girare in «Lavorato in Italia») la confezione assomiglia molto all’extravergine De Cecco Il Classico, in vendita da noi, che però si guarda bene dal mettere in etichetta simboli tali da farlo percepire come italiano al 100%. Sulla confezione commercializzata nel nostro Paese, poi, l’origine della materia prima dichiarata dal produttore è: Unione europea. Non so dirvi cosa sia scritto sulla confezione venduta Oltreoceano. Sulla pagina internet ufficiale della De Cecco (la potete raggiungere a questo link) c’è una descrizione che lascia poco spazio alla fantasia: «L’olio extravergine d’oliva De Cecco è ottenuto da olive del Mediterraneo accuratamente selezionate». Dunque non sono olive italiane? E in questo caso, perché mettere il tricolore? Certo, conosco già l’obiezione: la scritta «Importato dall’Italia» si riferisce all’olio e non alla materia prima. E da un punto di vista formale è tutto ineccepibile, ma se provate a chiedere ai consumatori Usa cosa pensano di acquistare, immaginate cosa vi diranno? Si sbagliano i nostri, figuriamoci chi vive a migliaia di chilometri del Belpaese.
Ecco comunque qui di fianco le medesime confezioni che si trovano in vendita nei nostri supermercati. stesso colore di fondo, medesimi loghi. La denominazione italiana «Il Classico» è sostituita sul packaging Usa con il nastro tricolore.
Mi chiedo se abbia senso scandalizzarsi e fare gli indignati (vero signori industriali?) quando gli americani si accorgono che vendiamo loro prodotti che di made in Italy hanno sì e no la confezione e ci accusano di essere dei falsificatori. Come ha fatto il New York Times con le vignette pubblicate alla fine di gennaio. C’è una sola cosa in cui sbagliano i miei colleghi statunitensi. Non vi è nulla di criminale in questo modo di produrre. Avviene tutto alla luce del sole, tanto che il capo della nostra industria alimentare è arrivato a definire il made in Italy «una categoria mentale».
Good appetite America!

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