L’olio G dei Fratelli Turri, quando un antico frantoio diventa reticente

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Olio di oliva Turri «G», «Ideale per condire e friggere», così recita l’etichetta di questa new entry di Etichettopoli. E, più in piccolo, sempre nella parte frontale della bottiglia: «Composto da oli di oliva raffinati e da oli vergini». Espressione che si ripete tale e quale nell’etichetta posteriore ma con un’aggiunta, scritta in caratteri piccolissimi (forse in corpo 6 o addirittura 5), che recita testuale: «Olio contenente esclusivamente oli di oliva che hanno subito un processo di raffinazione e oli ottenuti direttamente dalle olive». Ora si tratta di capire in cosa consista questo «processo di raffinazione». E non dev’essere assolutamente scontato visto che il produttore ci informa solerte, che nella bottiglia c’è pure olio ottenuto direttamente dalle olive.
Sulla zona d’origine silenzio assoluto. Neppure un cenno al continente di provenienza della materia prima. Dall’etichetta si riesce a sapere l’azienda di confezione, dove presumibilmente l’olio è stato imbottigliato. È la Turri F.lli Srl, Strada Villa n° 9, Cavaion Veronese. Provincia di Verona, naturalmente. Non conoscevo quest’azienda. E confesso la sorpresa quando scopro con una banale ricerca su Google che la F.lli Turri si qualifica come un antico frantoio posto «al centro di un territorio unico, il cui peculiare microclima è da sempre prezioso alleato dell’olivicoltura gardesana».  Sul sito internet vengono pubblicizzati prodotti all’altezza del motto che si legge a caratteri molto grandi nella pagina «Chi siamo»: «La qualità è una tradizione di famiglia». Per lo meno dal 1951, quando il frantoio apre i battenti. Garda Dop, Olio Biologico, Bassa Acidità, Calmasino, Primizia del Fattore, Extra Turri: le specialità della casa vengono magnificate come se si trattasse di prodotti unici. E forse lo sono. Come pure sono tutti o quasi rigorosamente 100 italiani.
C’è però un grande assente in questa galleria di squisitezze, l’olio d’oliva «G» che ho acquistato meno di una settimana fa all’ipermercato Galassia di Casei Gerola, al numero 9 della Provinciale Voghera-Novara. Uno dei luoghi più tristi dove possa capitarti di fare la spesa. In realtà c’ero andato per comperare un altro campione di reticenza, l’olio Sasso che di italiano ha solo il nome. Mi ha colpito l’etichetta gialla e rossa del suo omologo Turri. E la lettera «G» che campeggia in cima all’etichetta. Per chi ha passato la cinquantina come il sottoscritto impossibile non pensare al «signor G», il compagno Primo Greganti capace di tacere per tre mesi (tanto rimase in galera) su quello che i giudici di mani pulite volevano sapere da lui: la conferma di una tangente miliardaria (in lire) destinata secondo gli inquirenti al Pds.
In questo caso, più banalmente, la G dell’etichetta dovrebbe richiamare forse il Garda, anche se di olio gaerdesano, dentro alla bottiglia, non ce ne dev’essere nemmeno l’ombra. Altrimenti con quel che vale la sua esistenza sarebbe rimbalzata da qualche parte in etichetta.
Morale: mentre tutti si entusiasmano per la decisione dell’Unione europea di abolire le oliere anonime da bar, ristoranti, fast food e tavole calde – ammesse solo bottiglie anti rabbocco con l’etichetta – si scopre che perfino un frantoio di antiche tradizioni, aperto sul Garda nel 1951, mette in commercio un olio che più anonimo di così non si può. Origine: sconosciuta. Tracciabilità: zero. Riconoscibilità: inesistente.
Almeno, e questa è l’unica nota positiva, i Turri hanno evitato di mettere le solite bandierine tricolori che abbondano su prodotti “italiani”, fatti però a centinaia di chilometri dal nostro Paese.

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