Ma non si era detto che per usare il tricolore bisogna produrre con materie prime italiane?

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Non si era detto che per mettere il tricolore nel marchio bisognava produrre con materie prime italiane? È di pochi giorni fa l’operazione del Corpo Forestale dello Stato che sta indagando sulla pasta Divella nel cui logo campeggia un accattivante nastro tricolore. Peccato che, per stessa ammissione del produttore, la materia prima non sia tutta italiana, come invece prescrive la legge 134 del 7 agosto 2012 (articolo 4, commi 49 e 49-bis) che vieta espressamente di dichiarare un’indicazione d’origine falsa anche attraverso «l’uso di segni, figure o quant’altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana». Ma sarà solo Divella a essere caduto in errore? La domanda mi frulla in testa da qualche giorno. Poi di colpo mi sono ricordato dell’etichetta di un formaggio molto noto (un attimo di pazienza e scoprirete quale) che non ha nastri né coccarde ma è realizzato con un sapiente gioco dei tre colori della bandiera. Allora faccio la cosa che ho compiuto milioni di volte. Apro una finestra di Google e nella ricerca immagini scrivo le due parole magiche: «logo pasta». Ed ecco la scoperta, Divella non è il solo a utilizzare grano duro proveniente dall’estero. C’è ad esempio la Pasta Lensi di Verolanuova, provincia di Brescia, che ha un marchio in cui campeggia un mazzo di spighe di grano (la medesima immagine della pasta pugliese) tenute assieme da un nastro bianco, rosso e verde. Dubbi sull’origine della materia prima? Basta leggere la pagina di presentazione e svaniscono. Sotto il titolino “Le migliori materie prime” il produttore spiega: «Un contenuto di glutine di alta qualità ed un alto livello proteico, sono alla base della selezione della semolina e dei grani di Durum, dalle migliori aree di coltivazione nel mondo». Del mondo?
Poi mi sono imbattuto in una improbabilissima Pasta Reale con tanto di nastro tricolore che però con lo Stivale non c’entra assolutamente nulla, visto che è prodotta a Crawley, nel West Sussex, Inghilterra. E arriva il momento dei maccheroni surgelati, la Pasta Zini, di Cesano Boscone (Milano) con un logo fasciato da un nastro tricolore svolazzante e vagamente dannunziano. Leggendo la sezione del sito intitolata Zini ingredients (la forma non evoca immagini di italianità) non si intuisce nemmeno lontanamente l’origine della materia prima, visto che si parla del processo di surgelazione. Così rimango con un interrogativo gigantesco.
Non mi sono ancora ripreso dall’immagine delle pappardelle da congelatore ed ecco che mi imbatto in un altro tarocco, la Pasta Savoia, immancabili spighe di grano e logo in tricolore, anche se un po’ sbiaditello. Nonostante l’omonimia nulla a che vedere  con la ex casa regnante. Almeno spero… Produttore: Belman Food, Balcatta. Australia.
Infine un altro brand di spaghetti e farfalle congelate, Surgital di Lavezzola (Imola), con un logo a forma vagamente d’grume. Tricolore, però.
E ora veniamo al brand di uno dei formaggi più noti d’italia, che utilizza un logo molto paraculo (il termine è stato sdoganato dalla Treccani e per questo mi permetto di usarlo) con un gioco di colori che ricorda più il tricolore reinterpretato da Forza Italia piuttosto dell’originale. Si tratta del marchio Galbani. Siccome credo proprio di poter escludere che il brand  della francese Lactalis, proprietaria tra l’altro pure di Parmalat, Invernizzi e Cademartori, si ispiri al redivivo partito di Silvietto, temo che l’unico altro accostamento cromatico sia quello col tricolore ufficiale della Repubblica. Più evidente è il riferimento di un altro marchio dell’industria casearia italiana finito alla corte dei Besnier, quello della Locatelli.
Ma non si era detto che per usare il tricolore bisognava produrre con materie prime italiane?
Mi fermo qui. Alla fine, lo confesso, ho le idee molto meno chiare di quando ho iniziato a scrivere il post. Ma forse è a questo che mira la grande industria alimentare: rendere tutto relativo. A cominciare dal made in Italy.

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