Made in Italy che vince: il pesce spada «italiano» batte lo straniero 93 a 7

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Chi dice che il Made in Italy non paga (e soprattutto non rende) racconta una balla gigantesca. La scorsa settimana sono inciampato senza volerlo in una caso che dimostra esattamente il contrario. I prodotti di filiere trasparenti e tutte italiane, per quanto possano costare di più vengono preferiti a quelli d’importazione. E i consumatori sono disposti a pagare la qualità, la sostenibilità e la trasparenza, Attribuendo un valore notevole al vero Made in Italy.
Il caso che descrivo in questo post è ambientato all’Iper, la catena della grande distribuzione fondata nel ’74 da Marco Brunelli, classe 1927, uomo geniale quanto tenace. E proprio a lui si deve l’iniziativa «Amo il pesce pescato all’amo», una campagna partita nella rete della “Grande i” lo scorso anno.  L’idea viene proprio a Brunelli: visto che l’Adriatico si sta impoverendo progressivamente per la pesca indiscriminata, perché non torniamo a prendere i pesci come si faceva una volta, cioè con l’amo? Fra le varie specie si decide di puntare sul pesce spada, una delle più minacciate. Iper decide di acquisire dei propri pescherecci e sostiene lo sforzo dei pescatori che si impegnano a pescare in modo sostenibile, migliorando la logistica per diminuire i tempi di trasporto.
Il metodo impiegato è quello della pesca al palangaro, un sistema che utilizza numerosi ami in serie appesi ad un unico filo e a differenza delle reti a strascico è molto selettivo e non rischia di intaccare l’ecosistema marino.
Le imbarcazioni partono e la pesca inizia. Con un vantaggio immediato rispetto a quella che si fa nell’Oceano Indiano, da cui proviene la stragrande maggioranza dello spada che finisce sulle nostre tavole. I pescherecci stanno in mare al massimo 4 o 5 giorni e non 2,3, a volte 4 settimane.
Una volta presi i pesci bisogna venderli. E fatti i conti (in realtà Brunelli che è uomo attentissimo ai bilanci li aveva fatti e rifatti mille volte prima di partire) la differenza di costo e dunque di prezzo al consumatore dello spada «italiano» è enorme. Sul bancone degli Iper sono esposti fianco a fianco le due varietà, quella dell’Oceano Indiano e la nostra. I cartellini non lasciano spazio a equivoci: la prima costa13,90 euro al chilo, la seconda 29,90. Più del doppio!
Ma qui arriva la sorpresa: il valore delle vendite del pesce pescato all’amo rappresenta il 92,8% del totale sul venduto di spada all’Iper, contro il 7,2% dell’altro. Certo, il risultato è frutto anche delle iniziative nei punti vendita (filmati e materiale cartaceo) che spiegavano la differenza fra i due prodotti. Ma il risultato non lascia dubbi: quando i consumatori percepiscono il valore di un alimento che rappresenta l’ultimo anello di una filiera trasparente (e in questo caso anche sostenibile) sono disposti a pagare ben di più.
Incidentalmente – ma non troppo –  per questa iniziativa l’Iper è stato premiato con l’Ethic Award 2010 assegnato dalla testata Gdoweek, gruppo Sole 24 Ore.
Dunque non c’è solo la strada della grande industria che punta a omologare tutti i prodotti, proponendoli come se arrivassero tutti da un non-luogo, indefinito e irraggiungibile. Spesso frutto della fantasia di copywriter molto creativi. 
Bravo Brunelli! La sua è una lezione che dovrebbero studiare attentamente molti suoi colleghi imprenditori.

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