Mondi alieni, con i nuovi telescopi alla ricerca della Terra 2.0

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Siamo soli nell’universo? Alla fatidica domanda che da almeno due millenni ha messo all’angolo filosofi, scienziati e teologi, oggi sembra più semplice rispondere. Da quando, nel 1995 fu scoperto il primo pianeta al di fuori del nostro sistema solare, la ricerca astronomica grazie a telescopi sempre più sofisticati e potenti ha letteralmente bruciato le tappe, tanto che ai giorni nostri i cosiddetti esopianeti riconosciuti ufficialmente, in pratica dei mondi alieni, sono diverse centinaia. E le notizie che giungono dai numerosi centri di osservazione sparpagliati sulla Terra e sulle sonde orbitali, non fanno che confermare continuamente le teorie di chi, da tempo, sostiene che il nostro meraviglioso pianeta non sia l’unico in grado di ospitare la vita. Le ultime, in ordine di tempo, riguardano due pianeti Kepler-438b e Kepler-442b, entrambi parte di un gruppo di otto piccoli pianeti, scoperti nella zona abitabile delle loro stelle classificate come nane rosse, più piccole e fredde rispetto a nostro Sole.

Kepler-438b si trova a 470 anni luce dalla Terra e ruota intorno alla propria stella in 35 giorni. Kepler-442b, collocato a 1.100 anni luce, compie la sua orbita in 112 giorni. Secondo i calcoli degli astrofisici che li hanno scovati, i due pianeti hanno un diametro inferiore del 12% rispetto a quello della Terra e Kepler-438b avrebbe il 70% di possibilità di essere roccioso, mentre Kepler-442b, circa un terzo più grande della Terra, ne avrebbe il 60%. Già perché le ricerche non si limitano ai semplici corpi celesti, ma tentano di individuare i pianeti potenzialmente abitabili, quelli cioè che si trovano nella zona abitabile (detta anche di Goldilocks), la regione intorno a una stella in cui le temperature sono adeguate per la possibile presenza di acqua liquida, un ingrediente fondamentale nella ricetta della vita su un pianeta. Ovviamente questa zona varia da stella a stella. In base alle caratteristiche di quest’ultima, la zona abitabile può essere più o meno vicina alla stella stessa.

Cacciatori di pianeti

I protagonisti di questa vera e propria “caccia” ai pianeti sono numerosi, ma i più importanti sono il telescopio spaziale Kepler, lanciato nello spazio nel 2009 dalla Nasa, da poco tempo entrato in avaria, e Harps (High accuracy radial velocity planet searcher), uno spettrografo di grande precisione installato nel 2002 sul telescopio di 3,6 metri di diametro dell’Eso (European southern observatory ) situato nel centro di La Silla in Cile. I due centri sono stati di fatto complementari e in più di un’occasione un telescopio ha confermato le ricerche dell’altro. Non solo. Se l’Harps è in grado di stabilire la massa del pianeta in esame, Kepler ha potuto individuarne le dimensioni.

Uno scandaglio nello spazio

Fino a quando Kepler ha funzionato correttamente, ha scandagliato una porzione della nostra Via Lattea che comprende le costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago. In totale ha tenuto sotto stretta osservazione 150 mila stelle individuando più di 3.500 “candidati” esopianeti e confermato l’esistenza di centinaia di pianeti extrasolari. Kepler ha “catturato” gli oggetti spaziali grazie ad uno speciale fotometro capace di individuare periodiche diminuzioni di luminosità degli astri dovute dal transito dei pianeti di fronte alla loro stella e, di conseguenza, di stabilirne con esattezza la grandezza. Un parametro quest’ultimo, direttamente proporzionale alla quantità di luce della stella bloccata proprio dal pianeta. Insomma, l’enorme quantità di dati raccolti, ha permesso di fornire un identikit sempre più preciso e dettagliato degli esopianeti individuati, arrivando addirittura a stabilire se il pianeta fosse dotato di un’atmosfera.

Piccoli grandi spostamenti

Da quando ha iniziato ad osservare costantemente 376 stelle simili al nostro Sole, Harps ha scoperto più di 150 nuovi pianeti e questo grazie alla misurazione della velocità radiale delle stelle. Un pianeta in orbita intorno a una stella la fa muovere regolarmente avanti e indietro, rispetto ad un osservatore distante, appunto sulla Terra. A causa dell’effetto Doppler, questo cambiamento della velocità radiale induce uno spostamento dello spettro della stella verso lunghezze d’onda più lunghe quando si allontana (si parla di red-shift, o spostamento verso il rosso) e verso lunghezze d’onda più brevi (blue-shift o spostamento verso il blu) quando si avvicina. Questi piccoli spostamenti dello spettro della stella vengono percepiti dallo spettrografo ad alta precisione di Harps e rappresentano il principale indizio della presenza di un pianeta. Dall’entità dello spostamento si è risaliti alla velocità radiale dell’astro, ovvero quanto velocemente la stella si muove in direzione della Terra o in quella opposta. Da qui al calcolo della massa del pianeta il passo è stato breve, per gli astrofisici ovviamente.

 Un pianeta…anzi tre!

Può capitare poi che individuando un pianeta e intensificando le ricerche su di esso si siano scovati sistemi planetari complessi con più di un pianeta in orbita e addirittura con più stelle. Contrariamente a quanto si pensava solo qualche decennio fa, i sistemi binari e tripli, ovvero con un doppio o un triplo Sole, sono abbastanza comuni nella Via Lattea.

È il caso di Gliese 667c, una nana rossa situata a circa 22 anni luce di distanza dalla Terra e già conosciuta dagli astronomi. Una serie di nuove e più dettagliate analisi hanno portato alla luce una scoperta che ha mandato in fibrillazione l’intera comunità scientifica. Attorno a Gliese 667c (che a sua volta fa parte di un sistema composto da tre stelle) ruotano da cinque a sette pianeti. Di questi, tre sono più grandi del nostro pianeta e più piccoli di giganti gassosi come Urano e Nettuno.Dal momento che questi tre pianeti sono relativamente piccoli, il loro segnale risultava nascosto nelle prime ricerche e solo una seconda analisi dei dati e nuove osservazioni hanno portato alla conferma della loro esistenza. Ma la notizia più intrigante è che le orbite di queste vere e proprie super Terre rocciose sono contenute nella zona abitabile intorno alla stella, ovvero l’area intorno a una stella nella quale le temperature sono adeguate per la possibile la presenza di acqua allo stato liquido.

Il sistema stellare al cui centro si trova la nana rossa Gliese 667c è assai simile a quello solare e si trova nella costellazione dello Scorpione. La stella di riferimento ha una massa di un terzo rispetto a quella del Sole ed è quindi molto più piccola e più fredda rispetto al nostro astro. Ciò significa che la sua zona abitabile è molto più vicina: le tre probabili Terre completano un’orbita in un tempo che va dai 20 ai 100 giorni. Secondo quanto rilevato dagli esperti, dalla loro superficie sarebbero visibili durante il giorno due delle tre stelle, mente la notte sarebbe rischiarata dalla terza stella, più debole rispetto alle “sorelle” che produrrebbe una luce paragonabile a quella riflessa dalla Luna piena sulla Terra. Gli altri pianeti (da 2 a 4 ) orbiterebbero attorno a Gliese 667c, al di fuori della zona abitabile e la loro presenza deve essere ancora confermata da ulteriori osservazioni.

Le implicazioni che la scoperta di questo sistema solare ricco di pianeti simili alla Terra porta con sé sono numerose. Innanzitutto i soli di piccola massa come Gliese 667c che è una nana rossa possono comunemente ospitare più pianeti nelle loro zone abitabili. E questo significa che ci potrebbero essere molti più pianeti abitabili di quanto abbiamo mai pensato visto che l’80% delle stelle della Via Lattea hanno dimensioni e luminosità analoghe.

 Gli occhi del futuro

L’avaria di Kepler, se confermata, non dovrebbe costituire un problema insormontabile. Già perché il suo successore, l’NGTS (Next-Generation Transit Survey), è stato appena inaugurato all’Osservatorio dell’Eso al Paranal, nel deserto di Atacama, nel Cile settentrionale. È un sistema di osservazione a grande campo, composto da una schiera di dodici telescopi, ciascuno con un’apertura di 20 centimetri, che avrà l’obiettivo di cercare nuovi pianeti extrasolari direttamente da Terra. Inoltre entro il 2018 sarà ultimati altri due strumenti di ricerca. Il primo si chiama Tess (Transiting exoplanet survey satellite) ed è un satellite il cui lancio sarà effettuato dalla Nasa. Tess cercherà pianeti extrasolari potenzialmente abitabili nei dintorni di 500 mila stelle fredde e piccole tra quelle più vicine al nostro sistema solare. Giusto per un confronto, il telescopio spaziale Kepler ha controllato una regione che contiene 150 mila stelle. A Tess sarà affiancato nel 2018 il James Webb Space Telescope a raggi infrarossi specializzato sull’individuazione della composizione atmosferica dei nuovi pianeti. Una volta che i due satelliti saranno operativi, le loro informazioni combinate potranno aiutare i ricercatori a determinare se i pianeti scoperti sono effettivamente in grado di sostenere la vita.

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