Origine e stabilimento in etichetta: la carta Ue che inchioda Martina e Calenda

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La risposta di Bruxelles a un’interrogazione dell’europarlamentare Angelo Ciocca svela il pasticcio italiano sui decreti: presentati, ritirati e pubblicati comunque sulla Gazzetta Ufficiale

Roba da non credere. La vera storia dei decreti su origine e stabilimento nelle etichette degli alimenti, scritti dai ministri Martina (Politiche agricole) e Calenda (Sviluppo economico) potrebbe essere il soggetto di un racconto umoristico. Se non ci fosse in ballo il destino della filiera agroalimentare italiana. 

A svelare il pasticcio dei due ministri è nientemeno che il Commissario Ue Vytenis Andriukaitis, rispondendo a una interrogazione dell’eurodeputato Angelo Ciocca (Lega). A questo link trovate il carteggio. Il parlamentare italiano aveva domandato all’esecutivo europeo di fare chiarezza sui decreti presentati a Bruxelles dal governo italiano e riguardanti l’origine dei cibi e lo stabilimento di produzione. Temi decisivi per la difesa del made in Italy – quello vero – e per i consumatori, che chiedono da dove arrivino e dove siano stati lavorati gli alimenti acquistati ogni giorno. La risposta all’interrogazione del commissario europeo alla Salute e Sicurezza alimentare è clamorosa. E svela  un retroscena inquietante. La premiata ditta Martina & Calenda ha più volte presentato in bozza i decreti a Bruxelles, per poi ritirarli. E alla fine li ha pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale (della Repubblica italiana). Senza attendere il via libera della Commissione che ha l’ultima parola sulle norme dedicate all’etichettatura degli alimenti.

A scanso di equivoci faccio una precisazione. Sono quello che si può definire un antieuropeista viscerale. E ritengo che la Commissione Ue, con qualche rara eccezione, decida sempre per tutelare gli interessi (sporchi) della Germania e dei suoi alleati. Questo però non può impedirmi di valutare, nella loro oggettività, lo svolgersi dei fatti. Che sono questi.

Decreto sull’origine obbligatoria per pasta e riso

L’8 maggio 2017, al convegno inaugurale di Tuttofood, a Milano, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina dichiara:

Martina

«Abbiamo inviato a Bruxelles il testo del decreto interministeriale Politiche agricole-Sviluppo economico in cui si indicano le modalità per applicare l’etichettatura di origine [di pasta e riso, ndA]. Seguiremo lo stesso iter di quanto già fatto dall’Italia per il latte e confidiamo in un esito positivo della procedura d’esame. Con questo provvedimento  prosegue l’azione di tutela e di valorizzazione dei prodotti italiani nell’interesse degli agricoltori e dei consumatori». 

In effetti il decreto arrivò alla Commissione Ue, in bozza, il 12 maggio 2017, ma quel testo venne sostituito, come racconta il commissario Andriukaitis:

Andriukaitis

«Il 12 maggio 2017 le autorità italiane hanno notificato un progetto di misure sull’indicazione obbligatoria dell’origine del grano usato per la pasta e del riso, in conformità alla procedura di notifica stabilita dal regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il 25 luglio 2017 le autorità italiane hanno ritirato tali progetti notificati. L’esame delle misure da parte della Commissione a norma del regolamento non è stato pertanto effettuato. Tuttavia i progetti di atti giuridici sono stati successivamente adottati dalle autorità italiane».

Dunque, per la Ue, è come se le nuove prescrizioni dell’Italia sull’origine in etichetta del grano per la pasta e del riso non esistessero. Visto che il nostro governo ha ritirato l’ultima versione del decreto, senza ripresentarne una nuova. Questo però non ha impedito a Martina di far pubblicare sul sito del Ministero (21 agosto 2017) il seguente comunicato:

«Il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali rende noto che sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale i due decreti interministeriali per introdurre l’obbligo di indicazione dell’origine del riso e del grano per la pasta in etichetta, firmati dai Ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda. Entrano così in vigore i provvedimenti che introducono la sperimentazione per due anni del sistema di etichettatura, nel solco della norma già in vigore per i prodotti lattiero caseari. I decreti prevedono, a partire dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, una fase di 180 giorni per l’adeguamento delle aziende al nuovo sistema e lo smaltimento delle etichette e confezioni già prodotte. Quindi l’obbligo definitivo scatterà il 16 febbraio per il riso e il 17 febbraio per la pasta».

Decreto sullo stabilimento di lavorazione o confezionamento

Molto simile l’iter che ha seguito il provvedimento destinato a rendere obbligatorio lo stabilimento di lavorazione o confezionamento sulle etichette dei cibi. Ecco cosa dichiarava il 15 settembre 2017 il ministro Martina, giorno in cui il consiglio dei ministri lo licenziò:

«È un impegno mantenuto nei confronti dei consumatori e delle moltissime aziende che hanno chiesto di ripristinare l’obbligo di indicare lo stabilimento. In questi mesi sono state tante le imprese che hanno continuato a dare ai cittadini questa importante informazione. Continuiamo il lavoro per rendere sempre più chiara e trasparente l’etichetta degli alimenti, perché crediamo sia una chiave fondamentale di competitività e sia utile per la migliore tutela dei consumatori. I recenti casi di allarme sanitario ci ricordano quanto sia cruciale proseguire questo percorso soprattutto a livello europeo. L’Italia si pone ancora una volta all’avanguardia».

L’Italia sarà anche il più avanti di tutti fra i 28 Paesi della Ue, ma ancora una volta senza il via libera di Bruxelles. Scrive Antriukaitis in proposito:

«Il 30 marzo 2017 le autorità italiane hanno notificato, a norma della procedura di notifica prevista dalla direttiva (UE) 2015/1535, un progetto di misura che stabilisce l’indicazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento di tutti gli alimenti. La Commissione ha formulato un parere dettagliato in merito al progetto di misura, ritenendone le disposizioni incompatibili con il diritto della UE. Le autorità italiane hanno quindi ritirato la notifica in questione e il 3 agosto 2017 hanno rinotificato il progetto a norma del regolamento (UE) n. 1169/2011. Anche questa seconda notifica è stata infine ritirata dalle autorità italiane. Il 3 ottobre 2017 le autorità italiane hanno notificato una misura simile a norma dell’articolo 114 del trattato sul funzionamento dell’Unione. La valutazione da parte della Commissione di quest’ultimo progetto è in corso».

Dunque, quando Palazzo Chigi ha dato il disco verde al provvedimento non c’era nulla agli atti della Commissione. Soltanto due settimane dopo, infatti, la premiata ditta Martina & Calenda ha ripresentato a Bruxelles una nuova bozza di decreto. Sulla quale, per altro, l’Eurogoverno non si è ancora pronunciato, come puntualizza Andiukaitis. Il 7 ottobre 2017 però, sulla Gazzetta Ufficiale, italiana viene pubblicato il testo del decreto. Ma si tratta del Decreto legislativo numero 145, quello licenziato dal governo il 15 settembre. Non del nuovo, presentato il 3 ottobre 2017, e su cui pende tuttora il giudizio della Commissione.

La Commissione farà piazza pulita delle etichette italiane

Un grandissimo pasticcio. Con decreti entrati in vigore senza che l’Europa ne sappia nulla, oppure ancora in fase di esame. In pratica poco più che carta straccia, alla quale, però, le aziende italiane hanno dovuto adeguarsi e di cui Bruxelles si appresta a fare piazza pulita con l’Atto esecutivo appena pubblicato sul sito della Commissione e di cui ho già parlato sul blog (qui il link). Latte, formaggi, pasta, riso, pomodoro: torneranno i cartellini anonimi.

Angelo Ciocca

Onore ad Angelo Ciocca, l’europarlamentare che è riuscito a svelare questo intreccio di atti formali, notifiche e ripensamenti, con l’interrogazione presentata alla Commissione Ue. Resta una considerazione amara: trovo inammissibile che per conoscere lo stato dell’azione legislativa italiana si debba interrogare Bruxelles.

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