Passata di pomodoro, tutta rossa e tutta italiana

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Dopo l‘olio extravergine d’oliva la passata di pomodoro. A distanza di due settimane dal primo test comparativo sulle etichette e indossata l’immancabile tenuta del Casalingo di Voghera, ho comprato a man bassa passate e vellutate di pomodoro. Obiettivo: capire da dove provenga la materia prima impiegata per produrle.
Mentre lo scontro fra noi e l’Europa sulla legge per la tracciabilità approvata lo scorso mese si fa aspro, confesso che mi sono divertito a radiografare le confezioni dell’alimento più diffuso nel nostro Paese, dopo la pasta.
I risultati, non ve lo nascondo, sono stati sorprendenti. Ho acquistato 10 bottiglie di passata di marche diverse e tutte dichiarano in etichetta: prodotto con pomodori italiani. In realtà la Valis, prima nella tabella comparativa che pubblico qui sotto, si limita a scrivere “Prodotto italiano” senza specificare chiaramente se si riferisca all’origine dei pomodori. La scritta però è a cavallo fra una bandiera italiana e un pomodoro, quindi si intuisce che sia così. La passata Valis è la più economica di tutte, costa appena 49 centesimi. Ed è confezionata per la società De Clemente Conserve di Fisciano (Salerno) in uno stabilimento indicato da una sigla incomprensibile (N 251) che compare sul tappo. La De Clemente confeziona altre due marche, Collina del sole e Il buon raccolto incluse oltretutto nel catalogo della società disponibile sul Web.
Altri due prodotti che vedono la luce ad un medesimo indirizzo sono la passata Mutti e la Santa Rosa (marchio della Unilever), confezionati entrambi in quel di Collecchio (Parma) al civico 36 di Strada Dei Notari. Lì ha sede la Copador, una coop che con «300mila tonnellate di prodotto fresco lavorato ogni anno – si legge nel sito internet – si colloca fra le maggiori aziende di trasformazione operanti in Europa». Mutti e Unilever sono solo due dei tanti clienti che serve.
Le 10 marche che ho acquistato (erano tutte quelle in assortimento all’Iper Montebello) non rappresentano la totalità delle passate in vendita nel nostro Paese, ma vi si avvicinano molto. Alcune case, poi, propongono delle passate con l’aggiunta di ingredienti, per esempio il basilico e la cipolla, che le fanno assomigliare più ai sughi pronti. Dunque le ho escluse da questa comparazione. Me ne occuperò presto però.
Dimenticavo: dal 2006, in forza di un decreto ministeriale (Gazzetta Ufficiale nr. 57 del 9/3/2006) è obbligatorio dichiarare in etichetta l’origine dei pomodori impiegati per produrre la passata.
Questa volta, dunque, il Casalingo di Voghera si è imbattuto in un prodotto davvero italiano? Sembra proprio di sì.
Mi resta però un dubbio: che fine fanno le 161.215 tonnellate di pomodori concentrati o conservati che importiamo ogni anno e di cui una metà abbondante proviene dalla Cina?

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3 COMMENTS

  1. N 251 indica la data di confezionamento, cioè quando è stata sigillata la bottiglia/vaso/barattolo. Le modalità di etichettatura per le conserve vegetali soggette a organizzazione comune del mercato secondo le norme europee, in particolare la sigla da utilizzare per l’anno di produzione, sono stabilite da norme nazionali (decreti) pubblicati annualmente. Le modalità devono essere uniformi tra i produttori che richiedono aiuti europei per la trasformazione dei prodotti agricoli (negli ultimi anni il sistema di contributi è cambiato, ma fino a pochi anni fa la quasi totalità dei trasformati di pomodoro, pere, pesche, susine usufruiva di contributi europei ed era pertanto soggetto a una serie di vincoli e controlli, compresa l’indicazione della data di produzione in maniera uniforme, per distinguere i quantitativi ottenuti da un anno all’altro). Valerio

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