Per sfuggire all’etichetta obbligatoria sugli indumenti la Ue fa fumo

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Alla fine il gigante ha partorito il topolino. Mercoledì 11 il Parlamento europeo ha approvato un regolamento che prevede l’obbligo di indicare sull’etichetta dei capi d’abbigliamento l’eventuale presenza di inserti in pelle o pelliccia. E’ sparito dal testo della risoluzione qualunque riferimento all’origine delle fibre tessili impiegate. A provocare lo stralcio la ferma opposizione del Consiglio della Ue. Già, sempre loro: i capi del governo o i ministri dell’Agricoltura dei Ventisette sono riusciti a scaricare per l’ennesima volta un provvedimento che mirava a rendere tracciabile e trasparente l’origine degli indumenti. Giacche, gonne e magliette come le mozzarelle e i sughi di pomodoro: l’industria non vuole rendere visibile ai consumatori il Paese di provenienza della materia prima né quello in cui si sono svolte le lavorazioni principali. Il motivo? E’ semplice: acquistereste una felpa prodotta in India a 150 euro?
L’unico impegno che il Parlamento di Strasburgo è riuscito a strappare è la promessa che la Commissione europea presenterà entro il 2013 uno studio di fattibilità sull’introduzione dell’indicazione di origine. Uno studio, nulla di più.
Così dobbiamo rassegnarci alle etichette reticenti anche per ciò che indossiamo. La norma sugli inserti in pelle è solo fumo negli occhi.

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