Roma non è Riga: possiamo ancora difendere la nostra legge sull’etichetta d’origine

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Sebastiano Fogliato
Colpirne uno per educarne 100 (in realtà 27, quanti sono i Paesi membri della Ue). Sembra questa la strategia della Commissione europea sull’etichettatura d’origine. Nelle scorse settimane il commissario alla Salute John Dalli ha diffidato la Lettonia dall’adottare l’etichetta trasparente per i prodotti lattiero-caseari. Provvedimento che, secondo Bruxelles, sarebbe contrario allo spirito della libera circolazione delle merci e comporterebbe un ritorno implicito al protezionismo alimentare. 
La scusa è vecchia come Noè: dietro il paravento di una difesa del mercato unico senza confini, l’Europa  mortifica la legittima aspirazione dei consumatori di sapere da dove provengono gli alimenti che si mettono in tavola tutti i giorni.
In verità non mancano le voci critiche anche nel nostro Paese come quella di Federalimentare, Unionalimentari e Confagricoltura. E sul web (italiano) rimbalzano pure accuse di «autarchia alimentare».
La realtà è diversa: un sistema di etichettatura d’origine trasparente, capace di garantire la tracciabilità di tutti gli alimenti, danneggerebbe pesantemente l’industria alimentare di quei Paesi che invadono il mercato con prodotti (spesso di infima qualità) che nei diversi Paesi vengono poi trasformati e venduti come se fossero frutto di filiere locali. Pensiamo ai formaggi, ma anche alla pasta, ai prodotti da forno, ai salumi. 
Il fronte del no all’etichetta parlante rispecchia questa geopolitica economica: contrari alle norme sulla tracciabilità sono soprattutto Germania, Danimarca, Spagna, Olanda e Svezia. Rinforzati dalla Commissione europea. Per il sì sono invece Austria, Francia, Grecia, Italia, Portogallo e fino ad alcuni giorni or sono Lettonia. Con le altre repubbliche baltiche in attesa di capire come sarebbe finito il braccio di ferro fra Bruxelles e Riga.
Per noi la partita non è ancora persa. La risoluzione adottata dal Consiglio Ue che limita l’etichetta parlante alle carni ora deve tornare al vaglio del Parlamento europeo. Strasburgo aveva votato a giugno ben altro testo, un norma simile a quella varata dall’Italia il 18 gennaio e che ci è valsa l’altolà dell’onnipresente Dalli.
Tutto sta a vedere se Roma si vuole impegnare in un confronto istituzionale con Bruxelles anche molto duro. Parecchio dipenderà dall’imminente rimpasto di governo. Se al ministero dell’Agricoltura, liberato da Galan (dirottato forse alle Regioni al posto di Fitto o ai Beni culturali in luogo di Bondi) dovesse andare un duro come Sebastiano Fogliato, ora capogruppo della Lega in commissione Agricoltura alla Camera, i giochi potrebbero riaprirsi. Anche all’assemblea di Strasburgo la Lega ha dimostrato di essere un partito vero, capace di condurre battaglie politiche disperate. Vincendole. Sempre che i Responsabili, cui Berlusconi deve la propria sopravvivenza politica, non riescano a imporgli Francesco Saverio Romano, ex Udc, ora leader dei Popolari per l’Italia Domani. Siciliano come Calgero Mannino.

Per ora mi fermo qui. Non resta che aspettare qualche giorno. Radio Transatlantico riferisce che il giro di poltrone possa  arrivare già venerdì prossimo. Vedremo.

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