Sbarca a Gioia Tauro il finto extravergine italiano deodorato

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La pista del finto olio italiano porta a Gioia Tauro. Tutto è cominciato alla fine dello scorso anno con alcuni sequestri di olio extravergine sospetto effettuati dal Corpo forestale dello Stato. La partita più importante, quasi mezzo milione di chili, è stata intercettata quando era già stata avviata al ciclo di produzione, in diversi stabilimenti situati in tre province, Genova, Firenze e Pavia. Ad occuparsi dell’indagine la Procura di Firenze che avrebbe giù iscritto sul registro degli indagati diverse persone.
Le indagini in corso stanno portando a ricostruire un vasto commercio di finto extravergine italiano che entra nel nostro Paese prevalentemente dal porto di Gioia Tauro, in Calabria. Un giro di documenti falsi lo trasformerebbe talvolta in prodotto italiano, altre volte in olio europeo. Destinato comunque a finire sulle nostre tavole. Le navi che lo trasportano arrivano però dal Nord Africa, Marocco e Tunisia in particolare. Il prodotto è invariabilmente scadente: il sospetto è che si tratti di olio deodorato ottenuto dalla lavorazione di olive stoccate per mesi e su cui si sono già innescati processi di fermentazione. Una volta frante se ne ricava un liquido dal forte odore di urina di gatto. Dunque non commerciabile. Per nasconderlo si utilizza la tecnica della deodorazione.
Gli inquirenti sospettano che nella catena di passaggi che conduce dai porti nordafricani alle industrie che lo lavorano in Italia ci siano le mani della ‘ndrangheta calabrese. Per cambiare la carta d’identità all’oliaccio marocchino e tunisino bastano pochi passaggi. Ma il via vai di navi e container che arrivano e partono da Gioia Tauro non è facilmente camuffabile. Non si tratta di partite isolate, dunque per poterle movimentare “in tranquillità” non c’è nulla di meglio che appoggiarsi alla malavita locale. Fortemente ramificata al Nord, come dimostrano le indagini della Procura di Reggio Calabria.
Com’è nello stile della Forestale non ci sono state fughe di notizie sulle indagini in corso. Dunque non resta che attendere.Vista l’entità delle partite in gioco c’è il sospetto però che nella gigantesca frode alimentare siano coinvolte anche alcune fra le più note etichette di olio extravergine “italiano”.
A complicare le cose ci si è messa pure l’Unione europea: il nuovo regolamento entrato in vigore proprio il 1° aprile ha fissato la soglia massima accettata di alchil esteri nell’olio extravergine a 75 mg per chilo. Si tratta di composti che si trovano nella frangitura di olive maltrattate, difettose o conservate male e che aiutano a individuare l’olio deodorato. La Coldiretti chiede che il limite venga abbassato a 25 milligrammi: quello massimo riscontrato nel vero extravergine che esce di frantoi italiani dove si lavorano le nostre olive. Sarebbe semplice, ma così diventerebbe “fuorilegge” oltre il 50 per cento dell’olio che si trova in commercio. Immagino che l’Europa abbia in mente ben altro.

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