Scontro Europa-Usa: il derby fra i due Auricchio

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Errico Auricchio e Giandomenico Auricchio, cugini, pronipoti  del fondatore della dinastia dei formaggi, Gennaro, che nel 1877 a San Giuseppe TABELLA AURICCHIVesuviano ha aperto l’omonima società attorno a un “segreto”, meglio una “ricetta speciale”, capace di dare al provolone un sapore unico al mondo.  Entrambi cavalieri del Lavoro, i due cugini Auricchio hanno vissuto  storie imprenditoriali parallele e si trovano ora a giocare un vero e proprio derby, nella gigantesca partita che oppone gli Usa all’Europa per il riconoscimento oltreoceano delle Dop. Mentre Giandomenico ha fatto quel che si può definire un carrierone, anche nelle associazioni imprenditoriali, Errico è il re dei finti formaggi italiani negli Usa e da qualche mese è sceso in campo per una gigantesca operazione di lobbying, con il Consortium for common food names (in sigla Ccfn). Obiettivo: screditare le rivendicazioni dell’Europa sulle Denominazioni d’origine. Sullo sfondo c’è la difficile trattativa per l’accordo di libero scambio fra Stati Uniti ed Unione Europea. Il negoziato è fermo su uno dei punti più controversi: mentre la Ue chiede agli americani di riconoscere sic et simpliciter le nostre Dop, dall’altra parte dell’Atlantico non ci pensano neppure. Il business dei falsi formaggi italiani a stelle e strisce vale circa 20 miliardi di dollari l’anno. Poco meno di un terzo dell’intero italian sounding mondiale. Facile capire la ritrosia degli yankee.
Ma c’è chi ha trasformato la convenienza in una battaglia di libertà. Parlo proprio di Errico, il cugino americano della dinastia Auricchio che per altro predica da anni questa filosofia: «Il valore della cultura del cibo non è nei luoghi in cui è prodotto, ma nell’uomo che lo fa. La qualità può essere esportata». Un massaggio dal contenuto dirompente: se dovesse passare andrebbe a quel Paese letteralmente l’intero sistema delle Denominazioni d’origine, incluse quelle del vino. «Il clima, il luogo contano», spiegò l’Auricchio del Wisconsin in una storica intervista pubblicata sul quotidiano di Piacenza la Libertà nel giugno 2013, «ma è la cultura dell’uomo l’aspetto più importante, se no per mangiare sushi dovremmo andare in Giappone, invece è buonissimo anche a Milano… La qualità nasce dall’impegno quotidiano e la fa il produttore».
Ora però accade che il “nostro” Auricchio (nostro nel senso che viviamo nello stesso Paese) produca parecchie delle Dop imitate sull’altra sponda dell’Atlantico dal cugino americano. Dai caseifici di Cremona e della Lombardia esce ad esempio un ottimo Asiago Dop. E la Belgioioso del Wisconsin risponde con un Asiago Cheese tutto da vedere. Giandomenico può vantare la produzione di due Dop storiche per l’Italia: il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. Ma Errico non è da meno e all’immancabile Parmesan, per non rimanere indietro rispetto al cugino, aggiunge la new entry dell’American Grana che riporta pure in buona evidenza la R cerchiata del marchio registrato. Per non parlare poi del sublime Gorgonzola Cremificato Dop tutto made in Italy, giustamente definito in etichetta «unico al mondo», cui la Belgioioso manda contro un improbabile Gorgonzola Cheese Crumbly, cremoso.
Un derby, questo fra i due Auricchio, dall’esito quasi scontato. Mentre Errico è all’attacco e non perde occasione per rivendicare il diritto di produrre imitazioni delle nostre Dop in nome della libertà d’impresa, Giandomenico tace e rimane sulla difensiva. Forse vale la pena di ricordargli quel che prevedeva alla voce made in Italy il documento programmatico con cui aprì nel 2006 il suo quadriennio di presidenza alla Federalimentare, la Confindustria del cibo:

«il rafforzamento del made in Italy e la difesa dei nostri marchi e dei nostri prodotti dalle imitazioni, usurpazioni e contraffazioni sono questioni di importanza essenziale per il futuro economico del settore. In particolare, anche per evitare che sia minato e dissipato il valore stesso del concetto di made in Italy, sono necessarie due cose: combattere la contraffazione nei paesi ricchi, per recuperare quote di mercato sottratteci dall’italian sounding, e migliorare i prezzi di vendita e destinare le risorse drenate agli investimenti nei paesi emergenti, anche per evitare che in questi ultimi le imitazioni si affermino prima degli originali».

Un avvertimento profetico, visto che la potente Wisconsin Cheese Makers Association (ma guarda un po’ la coincidenza: il Wisconsin) paventa proprio l’eventualità di dover abbandonare le denominazioni d’origine usurpate, anche «sui mercati internazionali in forte espansione, come l’Asia».
Probabilmente dall’esito del derby tra i due Auricchi dipende il futuro di una fetta importante del nostro agroalimentare. Se perdiamo la partita sulle Dop negli Stati Uniti ci giochiamo i mercati più ricchi e remunerativi al mondo.

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