È scoppiata la grande guerra delle etichette

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Il casus belli sono stati i decreti sull’origine obbligatoria per riso e pasta. Aspettiamoci che la Ue apra una procedura d’infrazione

Dopo anni di scontri, imboscate e scaramucce di confine è scoppiata la grande guerra delle etichette. Il fronte è fluido e non ci sono linee ben definite, anche se gli schieramenti sono chiari: da una parte l’Italia, dall’altra quasi tutto il resto dell’Unione europea.

Era tempo che il fuoco covava sotto la cenere. Ora lo scontro è deflagrato, anche se fra le truppe italiane c’è una mancanza di chiarezza preoccupante. Il casus belli è stata la notifica alla Commissione Ue dei due schemi di decreto sull’origine obbligatoria in etichetta per pasta e riso. Ne ho già parlato sul blog (qui il link). Nel momento in cui i ministri Martina (Politiche agricole) e Calenda (Sviluppo economico) hanno fatto pubblicare i testi, definitivi (ma non troppo) dei due provvedimenti sulla Gazzetta Ufficiale, il commissario europeo alla Salute e sicurezza alimentare Vytenis Andriukaitisha gelato tutti, chiarendo: «Abbiamo controllato ma secondo le informazioni che abbiamo, la notifica non ci è arrivata».

Il giallo delle notifiche a Bruxelles

La sequenza temporale che ho riassunto nella tabella qui a fianco tratteggia la gravità  della situazione. Ma non spiega cosa sia accaduto. Anche se non serve fare uno sforzo di fantasia per intuirlo. Soprattutto per il decreto grano-pasta: Martina ho inviato la bozza a Bruxelles il 20 dicembre 2016 ma a distanza di quasi 5 mesi (maggio 2017) la Commissione continuava a chiedere chiarimenti e consigliare modifiche. A quel punto il titolare dell’Agricoltura decide di inviare la notifica ufficiale (11 maggio) ma i tangheri dell’Eurogoverno fingono di non capirlo e considerano il testo come una ulteriore bozza. 

Così quando Martina e Calenda firmano il decreto fanno sapere che vi sono “alcuni aspetti da chiarire” e che si presentano notevoli criticità. Poi, il giorno del’uscita in Gazzetta Ufficiale Andriukaitis sentenzia: “il testo non è mai arrivato”.

C’è il no di Germania, Austria, Spagna e Danimarca

Fin qui la storia, almeno ai lettori del blog, è nota. Di nuovo vi sono due fatti. Il primo: si è saputo che i Paesi Ue contrari all’origine in etichetta applicata dall’Italia, sono ben 11, guidati dalla Germania con il valido supporto di Francia e Austria, due fra i maggiori esportatori di grano verso il nostro Paese. E con il grano, quello duro, si fa la pasta.

Ma c’è pure un altro fronte aperto, dove lo scontro sale di intensità. Quello sullo stabilimento in etichetta. secondo la ricostruzione puntuale sull’iter  di quest’altro decreto fatta dall’avvocato Dario Dongo su Great Italian Food Trade, Martina (sì, sempre lui!) ha ritirato lo schema di decreto presentato alla Commissione Ue il 17 marzo 2017. Riservandosi di inoltrarlo nuovamente su canali diversi. Il Politburo di Bruxelles, fregandosene dei tre mesi che ha a disposizione per validare i provvedimenti nazionali dei Ventotto (il cosiddetto standstill period) ha preso tempo fino al 2 ottobre per emettere un giudizio. Che però rischiava di essere negativo. In questo caso, infatti, si sono opposti 4 Paesi della Ue: Germania, Austria, Spagna e Danimarca

Sta per arrivare il siluro europeo

Nel frattempo l’ineffabile Martina si incazza con quanti gli fanno notare il pasticcio che ha combinato, accusando chi lo critica di parteggiare per Bruxelles. In un comunicato particolarmente velenoso arriva però ad ammettere:

«Andiamo avanti anche a costo di presentarci alla Corte di Giustizia europea per difendere gli interessi dei produttori agricoli del nostro paese di fronte alla latitanza delle norme europee».  

Evidentemente il ministro di Gentiloni si aspetta che la Commissione apra una procedura d’infrazione sui due decreti. Ma allora, perché non dirlo chiaramente? Perché non spiegare cos’è successo in questi mesi fra Roma e Bruxelles?

Vale la pena di segnalare che i primi a parlare di guerra della pasta sono stati i giornali inglesi e francesi sui quali rimbalzano le argomentazioni utilizzate dai tedeschi e dagli alleati per attaccare le norme italiane sull’origine trasparente. Si tratterebbe, secondo Berlino, di un palese ostacolo al mercato unico europeo e alla libera circolazione delle merci al suo interno. L’origine e lo stabilimento di produzione altro non sarebbero che una barriera tecnica con la quale l’Italia prova a proteggere le proprie produzioni. E chissenefrega del desiderio di trasparenza dei consumatori. Che rappresentano l’ultima preoccupazione per gli euro cialtroni. Guardacaso le medesime motivazioni sono alla base di un ricorso contro di noi, scritto a quattro mani dal presidente americano Donald Trump col premier canadese Justin Trudeau e indirizzato proprio  al Comitato ostacoli tecnici del Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio. Peccato che con i canadesi stiamo per sottoscrivere l’accordo di libero scambio Ceta, sul quale si pronuncerà a breve il Parlamento italiano.

Lo scontro sulle etichette oramai è mondiale anche se il nostro governo fa finta di non saperlo e se la prende con chi invece ha il coraggio di parlarne chiaramente.

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