«Senza l’etichetta d’origine sul riso noi giovani agricoltori non abbiamo un futuro»

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Un giovane risicoltore ha letto quanto ho scritto sulla crisi del settore dopo che l’Europa ha azzerato i dazi all’import da Cambogia e Birmania e ha deciso di scrivermi una lunga lettera. La pubblico integralmente senza aggiungere nulla se non una considerazione: quando le industrie dell’agroalimentare truccano i prodotti importati spacciandoli per italiani, giocano con il futuro di migliaia di agricoltori e delle loro famiglie. Non soltanto nel riso.

Sono un giovane imprenditore agricolo della provincia di Pavia, e insieme a molti altri ragazzi ho partecipato alla mobilitazione di Coldiretti per salvare il riso italiano. Siamo andati a Milano, dove la Regione ha garantito nuove risorse al nostro settore. Siamo andati a Roma, dove il governo ha sostenuto la nostra battaglia per dare un futuro al riso italiano. Lo stesso ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina ha definito la nostra «una battaglia giusta», presentando dopo pochi giorni un documento per chiedere all’Unione europea di introdurre la clausola di salvaguardia.

Quello delle importazioni dai Paesi meno avanzati è sicuramente un problema, visto soprattutto che in Oriente il riso viene coltivato utilizzando prodotti chimici che in Italia sono vietati da decenni perché dannosi per la salute. Per non parlare dello sfruttamento del lavoro minorile, pratica quasi sistematica in quegli Stati… Ma più delle importazioni da Cambogia, Tailandia e Birmania ci dovrebbe preoccupare il fatto che sul riso italiano non ci sia ancora un’etichetta chiara e facilmente comprensibile da tutti i consumatori. Un’etichetta che chiarisca una volta per tutte da dove viene il riso che finisce nei nostri piatti.

Senza l’etichettatura d’origine, infatti, il futuro delle nostre aziende non potrà essere garantito. Perché il nostro prodotto non può essere pagato come quello che arriva da altri Paesi e perché solamente riuscendo ad etichettare il nostro riso come made in Italy riusciremo davvero a cambiare rotta. Una rotta che ancora oggi le industrie non sembrano voler modificare, dopo aver contribuito negli anni passati a creare questa situazione approfittando anche di un mercato instabile e troppo spesso influenzato da questioni estranee all’agricoltura. Quelle stesse industrie che ben si guardavano dallo scendere in piazza quando ad essere importato dai Paesi asiatici era il risone grezzo e non il riso già lavorato e inscatolato che sta arrivando adesso in Europa.

Come dimostra la recente indagine della magistratura sull’olio spagnolo (contaminato) scoperto in Puglia dalla magistratura, qui non è in discussione il diritto delle industrie italiane di importare prodotti alimentari dall’estero. Ma se l’industria vuole importare riso straniero non deve poterlo rivendere come italiano. Così facendo, infatti, non si “inquina” soltanto il made in Italy con prodotti peggiori rispetto ai nostri sotto tutti i punti di vista. Così facendo si distrugge un’intera filiera. E non si permette a noi giovani imprenditori agricoli di avere un futuro in questo Paese.

Giovanni

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